Notizie dal diluvio #3

immagine di Pietro Bandini – Phocus Agency

Un quadro piuttosto riuscito
nella sua ambigua doppiezza
ci mostre cose in movimento
e contemporaneamente inerti:
due viaggiatori che s’ignorano,
seduti l’uno di fronte all’altro,
guardano fuori dal finestrino
dalle rispettive posizioni;[…]

(TEMPO E MOTO, Valentino Zeichen)

RANTER’S GROOVE, Haiku (Kaczynski Editions, 2019)

RANTER'S GROOVE, Haiku

Apriamo questa terza puntata di Notizie dal diluvio con un recupero del 2019: Haiku, del duo Ranter’s Groove. Sedici brevi dispacci come capitoli di un audiogiornale avvolto in una nuvola oppiacea; una sorta di Starfuckers in emulsione dub o di Demdike Stare senza ritmo. Un suono notturno, seducente sebbene scabroso, pochi elementi dosati con sapienza da laboratorio svizzero e scientifica follia da scienziati acidi, per un risultato intrigante, non banale, difficile da descrivere a parole; microfoni, computer, chitarre, nastri, batterie elettroniche e loop machine l’arsenale utilizzato per dare vita a questi strani, sinuosi organismi elettroacustici che vivono in una fertile terra di mezzo dove ogni definizione perde di senso, in uno spazio sospeso dove la gravità non detta più legge, in un’atmosfera tra il surreale e il minaccioso, con un’epica asciutta e sobria che sa di distacco, di indefinibile dopo: insomma una musica perfetta per questi tempi strani e distopici. Ranter’s Groove sono Niet f-n, sound artist, e Giuseppe Fantini, chitarrista e manipolatore di suoni. Haiku è il secondo lavoro, a seguire Musica per camaleonti del 2018, pubblicato dalla loro Kaczysnki Records. Una realtà assolutamente da seguire, se vi piace frequentare la twilight zone.

ELLIOTT SHARP & SERGIO SORRENTINO, Spillà (Ants, 2019)

Un altro recupero del 2019, ancora un duo: stavolta due chitarre elettriche, a sondare i territori della notazione grafica. Sergio Sorrentino, musicista dal curriculum vitae vario e dallo sguardo spalancato a 360° sulla contemporaneità, ed Elliott Sharp, polistrumentista in giro da oltre quarant’anni con una miriade di dischi e progetti all’attivo. In questo incontro, pubblicato da Ants Records, i due si avventurano in paesaggi astratti dove la contemporanea, l’improvvisazione e tutte le possibili declinazioni del fare musica per chitarra convergono nella creazione di un ibrido imprendibile. “Hudson River n.6”, la prima traccia, è una partitura grafica di Sharp, un esperimento del 1974 nato dalla sovrapposizione di mappe topografiche a spartiti musicali poi manipolati dall’autore. “Liquidity”, invece, è testimone di un altro approccio, dove la notazione è stata elaborata al computer: in entrambi i casi resta inconfondibilmente aliena la penna di Sharp, capace di attraversare i decenni senza mai smettere di sondare l’inaudito. “Allerosa” e “Bitkorn”, le altre due tracce, sono improvvisazioni affilate e lievissime: musica densa e camaleontica, indicibile e rigorosa nell’affermare la sua diversità, la sua unicità, consacrata alla pura gioia dell’esplorazione del glorioso, insondabile mistero del suono. Notazione finale per il titolo del disco: nella parlesia, la lingua segreta inventata dai musicisti napoletani per non farsi capire in pubblico (nata con i posteggiatori, ovverosia i musicisti itineranti che si esibivano per strada), Spillà era l’atto del suonare. E allora nun spunì bbagarie: non fare cose stupide, presta attenzione.

THE CEPI NOMADS + HIC, Cepi Meets Hic (Torto Editions, 2019)

Abbiamo fatto un grande cerchio, abbiamo suonato il fuoco. Così il retrocopertina di questo ottimo disco di improvvisazione pubblicato dalla ligure Torto Editions, gestita da Tommaso Rolando (vi ricordate i Calomito?). Due ensemble: da un lato The Cepi Nomads, francesi, condotto dal grandissimo contrabbassista Barre Philipps (dentro c’è anche, alle elettroniche György Kurtág, figlio omonimo di cotanto padre), un nonetto, con quartetto di ance, batteria, violoncello e chitarra elettrica. Dall’altro Hic, ovvero Hidden Improviser Consort, un consorzio di improvvisatori nascosti, nato sotto la direzione di Claudio Lugo, che abbiamo da poco intervistato: qui l’organico conta undici elementi, due voci, batteria, due chitarre (una classica, una elettrica), tre fiati (al soprano appunto Lugo), due contrabbassi (uno di questi è proprio Rolando), un pianoforte e un Roli (un controller Midi a tastiera). Un’unica, torrenziale traccia di quarantanove minuti, catturata dal vivo a La Claque – Teatro della Tosse (che nome magnifico!) nel febbraio dell’anno scorso. Musica libera, feroce e delicatissima, nitida e onirica, come il racconto di un viaggio sciamanico in una foresta acustica. Musica per chi crede che il potere del suono sia quello di portarti da un’altra parte, e non di intrattenere. Supportate Torto Editions, ascoltate e comprate questo disco. Come diceva Oscar Wilde, la musica è il genere di arte perfetto. La musica non può mai rivelare il suo segreto più nascosto. E speriamo di poter assistere in un tempo non troppo lontano a rituali antichi e futuribili come questo di nuovo dal vivo, perché è di questo che le nostre orecchie ed i nostri cuori hanno bisogno.

ZLATKO KAUČIČ, TOMAŽ GROM, The Ear Is The Shadow Of The Eye (Sploh, 2019)

ZLATKO KAUČIČ, TOMAŽ GROM, The Ear Is The Shadow Of The Eye (Sploh, 2019)

Sploh (Sound, Performing, Listening, Observing, Hearing) è una realtà consacrata allo stabilire e documentare pratiche musicali che si immergono nelle acque dell’improvvisazione e della composizione contemporanea. Di Kaučič ho già avuto modo di raccontare diffusamente su Alfabeta 2 ed il suo box Diversity per Not Two Records è un vero e proprio scrigno delle meraviglie. Non conoscevo Grom, contrabbassista sloveno come il suo compagno di avventura, al quale tiene testa perfettamente in un viaggio che rispecchia in maniera totale il bellissimo titolo che sintetizza la poetica di questo disco e anche un poco di un certo approccio all’improvvisazione. Se l’orecchio è l’ombra dell’occhio, noi abbassiamo senza timore le palpebre e lasciamo entrare questi suoni aspri, terrigni, vulcanici, in perenne ebollizione, primitivi senza essere nostalgici. Con Debussy, l’arte di orchestrare si apprende ascoltando il rumore delle foglie mosse dal vento: la finestra è spalancata, gli uccelli sono tornati da giorni i principi del panorama acustico, un vento forte spettina e gonfia gli alberi, non passa nemmeno una macchina. Questa musica ci ricorda da dove veniamo, dove andremo, in barba a qualsiasi malintesa o meno idea di progresso. Il cd è uscito a fine 2019, potete recuperarlo qui, dove contestualmente scopro varie belle cose, tra cui l’esistenza di un festival che si chiama Sound Disobedience. Spero di poterci capitare presto.