NOfest!, 21-22-23/6/2013

Zeus

Arrivato alla quinta edizione, il torinese NOfest! si conferma come una delle realtà più interessanti dello Stivale, anche se a quanto pare questa rimarrà purtroppo l’ultima edizione. Tant’è, per me invece è la prima volta che assisto all’evento, e riesco a farmi un’idea, seppur parziale, di quello che va per la maggiore nell’underground italico. Faccio subito un inciso: noto con rammarico che nelle tre giornate manca una parte del “tutto”, per esempio quella più vicina alla cosiddetta “italian occult psichedelia”, ma capisco che magari è pure una scelta per circoscrivere la “cosa”, e la rispetto. Rimango però dell’idea che ci potevano stare altri tipi di band, altresì comprendo il fatto che non siamo al festival SXSW e che le giornate a disposizione sono solo tre. Io sono stato allo Spazio 211 le prime due, perciò vi dico subito che mi sono perso, tra le altre cose, le esibizioni della domenica di Bachi Da Pietra, Gull, Mombu, Luminance Ratio e Tons. Prima o poi mi rifarò.

Day one

Coi locali Treehorn siamo dalle parti di un rock interessante che si crogiola in dinamiche piuttosto intriganti. I Marnero alzano la temperatura di esercizio con il loro hardcore (venato a seconda dei momenti di metal o di punk)  e fanno centro, pur non essendo il mio pane quotidiano. Tocca poi agli Zeus!, e qui le cose si fanno più divertenti: i due lavorano di ipercinesi e spaccano timpani e ossa con sfuriate di robusto metal “in opposition”, come detto da loro stessi, che divertono e fanno sudare. Promossi.

È la volta di due pesi massimi dell’indie italico, quello più verace che non dimentica mai come si scrive seriamente una canzone: X-Mary e I Camillas. Insieme diventano X-Marillas, e provano a reinventare i rispettivi mondi a partire dalle loro peculiarità. Divertenti e a tratti efficaci, ma appunto, essendo due pesi massimi c’è poi il rischio che si annullino a vicenda, e la sensazione rimane proprio quella. Peccato.

Vedo dal vivo per la prima volta i beniamini Movie Star Junkies (sono praticamente di casa), e confermano quanto di buono avevano già fatto su disco. Stefano Isaia e soci suonano che è un piacere: hanno la giusta protervia sul palco, anche perché reggono bene il tutto pur essendo visibilmente su di giri (le contorsioni e il continuo stage diving sul pubblico del cantante lo dimostrano ampiamente).

Day two

Arrivo il più presto possibile, ma i primi set erano cominciati già alle sedici, ed incrocio Johnny Mox che mi parla della sua esibizione con i Moxters. Peccato averla persa. Lui mi dice che devo assolutamente godermi gli imminenti Ornaments, ed eccomi al loro cospetto: mezzora di precise mazzate metal e post-rock, come i Neurosis che jammano strumentali con gli Isis, ma quasi quasi rischio di sembrare riduttivo. Bravi, ne faranno ancora di strada, ne sono certo.

Ascolto poi solo una parte dell’esibizione di Paolo Spaccamonti, giusto in tempo per capire che non mi colpisce la sua prova “cinematica” più dimessa rispetto alle esibizioni nerborute che avevo visto sino a poco prima. Tocca poi alla Fuzz Orchestra e la musica, e i volumi, tornano a far male alle mie martoriate orecchie. Esibizione che mi cattura a metà, spesso rimane troppo preponderante la parte registrata che accompagna la chitarra di Luca Ciffo ─ in pratica sembrano dei Calibro 35 molto più cazzuti ─ con Mongardi alle pelli che lavora di fino e Fabio Ferrario alla tastiera che ricama incessantemente le parti più lisergiche del set. Il loro è pop metalloso, costellato di citazioni cinematografiche, che sul finale si fa più esplosivo, e per questo in definitiva più efficace.

I 5 Stronzi Romani (praticamente gli Inferno) sono un’altra mazzata che facilmente lascia malconci. C’è un però: la loro è una proposta sì divertente e uncompromising, ma alla lunga può stancare, pur non concedendo tregua neanche un secondo. Questo è già un risultato, visto che in tanti si divertono. Sul finire della serata ci godiamo i La Quiete, elegante esempio di emocore evoluto che non dimentica affatto la lezione di Jawbreaker e Jawbox, e la riattualizza partendo da empatia nei testi e precisione strumentale (mettete da parte i Fine Before You Came, qui le cose sono diverse e girano meglio…). Fine della lunga serata con la Squadra Omega, set che più “krauto” non si può, che alterna fasi in rigida souplesse con altre più accese e free, una garanzia.

È stato bello, chissà che il prossimo anno non si cambi idea e non si riproponga un evento simile, magari partendo da nuove location e da una visione più a 360° del mondo musicale che ci circonda.

Grazie ragazzi.

Ringraziamo anche (in ordine di gallery) Ilaria Doimo e Matteo Valfrè, che ci prestano le loro foto a corredo dell’articolo.