NO TONGUES, Ici

Cos’è la voce? È strumento? È testo? È messaggio? La tentazione di porla un po’ a metà strada, come entità ibrida non ben caratterizzata, è forte. Svincolarsi dalle definizioni è una strategia estetica efficace: ci permette di attingere da varie sorgenti senza immergerci completamente, smarcandoci da una responsabilità artistica definita.

No Tongues è un quartetto francese che da alcuni anni mischia musica da camera, improvvisazione, elettronica e elettroacustica in modi sorprendenti non solo dal punto di vista sonoro, ma anche concettuale. ICI è proprio questo: è come se Alan Regardin (tromba e oggetti), Ronan Courty (contrabbasso e oggetti), Ronan Prual (contrabbasso) e Matthieu Prual (sax e clarinetto basso) avessero riflettuto a lungo sul ruolo della voce all’interno di una composizione e, lungi da trovare risposte a domande retoriche, si fossero piuttosto concentrati sul flettere, in maniera drammatica, i confini fra parola, suono, messaggio e melodia. Per farlo, oltre alla consueta tavolozza basata profondamente sull’improvvisazione, e nella quale spicca, straniante, l’auto-tune della conclusiva “Finis Terrae”, il quartetto si avvale di ospiti, Isabel Sörling, Linda Oláh, Elsa Corre e Loup Uberto, e dei loro contributi vocali nelle tracce di apertura del disco. Il risultato è uno strano oggetto sonoro, in grado di evocare una vasta gamma di sensazioni nell’ascoltatore. Di sicuro la riflessione sul ruolo e posizionamento della voce all’interno del processo compositivo spicca nella narrazione. C’è la parola in bilico fra fonema e significato, nei due brani, affrontati ma non consecutivi, “Makame Fantome” e “Fronni d’Alia”: al termine del primo assistiamo ad un infantile tentativo di lettura, sforzo apparentemente titanico nella separazione fra suono, segno e semantica, che rende tortuosa la comprensione, produce teneri scivoloni sorretti dal delicato sfondo musicale; nel secondo lo sforzo della performance è radicalmente diverso, orientato alla deformazione grottesca del testo più che alla sua comprensione, con un accompagnamento abrasivo, tale da rendere confuso il limite fra suono e significato.

Meglio riconoscibile il ruolo del canto nell’iniziale “Kulnig” con una dinamica più prevedibile, ma non per questo peggiore, di azione-reazione fra voce e strumenti con vertiginosi intrecci fra i due. E infine parola come memoria e ricordo, concetti che emergono nel momento più melodico e strutturato del disco, la centrale “Parrandada De Entroido Do Canizo”, e che si diluiscono poi nei passaggi finali, scomponendosi in frammenti sparsi, brandelli di conversazione, field recordings.

ICI è un manifesto in grado di rispondere parzialmente alle domande retoriche dell’introduzione. Come spesso accade in questi ambienti ibridi in cui il suono e la musica vengono usati per decodificare strati profondi della realtà, le risposte e le definizioni sfuggono, i confini si stemperano lasciando spazio ad esperienze poste al confine fra le cose, più che al loro, perfetto e immobile, centro.