“No text is complete”: intervista a Charles Hayward

Charles Hayward

Charles Hayward, nato nel 1951, è stato il batterista/cantante di una delle band più importanti di sempre per chi segue le vicende più avventurose di rock e dintorni: This Heat. Con solo due dischi (This Heat, 1979 e Deceit, 1981) e un ep (Health And Efficiency, 1980) sono diventati mitologia, e quest’anno sono rinati dalle ceneri con una formazione nuova (Gareth Williams è morto da oramai 17 anni), che vede ancora sul palco Hayward e Charles Bullen (ossuto e ieratico alla chitarra, un brivido per ogni riff scheletrico e devastante) assieme ad altri quattro musicisti, per riproporre dal vivo questi pezzi di storia. La carriera di questo musicista in realtà include tanto altro, ma a questo giro ci siamo concentrati soprattutto sulla band che ci ha fatto bere un’acqua mai assaggiata prima (a new kind of water, se non ve la ricordate, rimettetela su adesso, oppure “Makeshift Swahili”, e ditemi che non vi viene voglia di spaccare qualcosa subito).  Storia e memoria sono parole che sono entrate più volte nella conversazione con Hayward, tenendo in mente però che nessun testo è – né può essere – completo.

Qual è il suo primo ricordo musicale?

Charles Hayward: Il mio primo ricordo musicale sono le nursery rhimes quando ero all’asilo. Sono convinto da sempre che l’educazione e la scuola abbiano un valore fondamentale nella nostra società ed ho lavorato molto, a partire dal 1987 fino al 2005, con ragazzini con disabilità, con persone anziane, con criminali…

… qualcuno potrebbe dire che lei stesso è un criminale musicale, pensando a quello che ha combinato con This Heat.

Lo prendo assolutamente come un complimento, e aggiungo che se non fossi stato un musicista, probabilmente sarei stato un criminale. Quando ero giovane, la forza dirompente della musica in qualche maniera ha incanalato i miei istinti più aggressivi, salvandomi da altre scelte. Mi ricordo la prima volta che ho ascoltato gli Who, praticamente è stato come se mi fosse scoppiata una bomba in faccia! Il mio destino previsto era quello dell’avvocato o del professore. Ho iniziato a suonare la batteria quando avevo dieci anni. Il mio compleanno è poco prima di Natale, per cui c’era un problema con il regalo di Natale. Suonavo le scatole dei regali, ero ossessionato dal suonare le scatole. Mio padre mi portò a vedere Ella Fitzgerald con Oscar Peterson ed Erroll Garner, avevo cominciato prima a suonare il pianoforte quando’ero più piccolo, e mi ricordo queste semplici, perfette melodie di Bach. Mio padre era anche stato fatto prigioniero durante la Seconda Guerra Mondiale e aveva passato molto tempo con soldati afroamericani che avevano con sé la radio e piccoli apparecchi per riprodurre i dischi (Duke Ellington, Count Basie…). Prima era british brass music, musica molto dritta (tratatatatatatata, me la solfeggia per rendere l’idea, ndr), che lui buttò via dopo essere venuto in contatto con questo sound che swingava veramente. All’inizio il mio rapporto con il suono e il ritmo è stato puramente istintuale, solo dopo l’ho analizzato e razionalizzato. La nostra cultura per progredire deve aprire il proprio beat, smetterla di pensarlo diviso solo in due, pensare ai micro-dettagli che stanno nell’idea dello swing, o della musica indiana: uscire dal ritmo chiuso e militaresco con tutti gli accenti sempre sul battere e pensare di più in termini di ritmo associato al battito cardiaco.  La musica è una delle grandi porte che si possono aprire per cambiare il nostro modo di percepire e di rapportarsi al mondo: può essere molto matematica oppure molto emotiva, ed è questo che la rende capace di creare altre realtà.

Coi This Heat alla fine degli anni Settanta suonavate in tempi cupi per l’Inghilterra, con un primo ministro come Margaret Thatcher che diceva orgogliosamente “La società non esiste”. Ora, dopo 40 anni, siamo arrivati alla Brexit. Come sono cambiate le cose, quali sono i suoi sentimenti, le sue impressioni a riguardo? “Nebbia sul canale, continente isolato”, diceva un quotidiano cento e passa anni fa. È questo un sentimento tipicamente inglese che ancora esiste?

Quando cantiamo “Cenotaph” con This Heat, nel chorus diciamo “History repeats itself”: cantandola ora, sembra che stiamo parlando del 1977, e nel 1977 sembrava stessimo parlando del 1945; c’è una bizzarra ironia in tutto questo. Molte persone anziane hanno votato per Brexit, mentre molti giovani non sono andati nemmeno ai seggi. Quando ero bambino, in cortile, giocavamo alla guerra e i nemici erano sempre i tedeschi: mio padre era un uomo della classe operaia, anche i tedeschi in realtà erano tutti uomini della classe operaia, per cui evidentemente qualcuno da entrambe le parti ci diceva le stesse cazzate. Ho avuto la fortuna di avere una forte connessione con il Belgio attraverso mia madre, per cui noi venivamo in Europa ogni anno, a differenza della grande maggioranza degli inglesi, che non erano abituati affatto ad uscire dal loro Paese e non lo sono stati per lungo tempo. Sono convinto che la Brexit sia una cosa molto bizzarra: gli anziani che un tempo giocavano a fare i soldati in cortile sono in qualche maniera tornati bambini, è triste ed è altrettanto certo che in futuro verremo a bussare alle porte dell’Europa chiedendo per favore di poter tornare. Devi conoscere il profondo significato di Voltaire, Beckett, Beethoven, Shakespeare, la cultura è fondamentale per capire l’importanza dell’incontro.

Ha menzionato Beckett; credo ci sia in qualche modo una relazione tra il clima di tragedia assurda che permea l’opera dello scrittore e quella che informa la musica di This Heat: una sorta di minaccia inesorabile, contro cui non è possibile fare nulla. Che ne pensa?

Credo che Samuel Beckett sia uno dei più grandi autori di ogni tempo, un genio incredibile.

Ricordo un racconto, ora non mi sovviene il titolo, che inizia secondo me in un modo fulminante: “I was young, then, feeling awful” ( Ero giovane, allora, stavo di merda). Credo che questo incipit sia perfetto anche per la musica di This Heat.

Certo, la nostra musica è sempre stata molto scura, entravamo a un livello molto profondo. Ci sono ovviamente cose positive che avvengono ogni secondo, ogni minuto, ogni ora, ogni giorno, ad esempio il fatto che io e te stiamo parlando ora, il fatto che gli alberi crescono, ma c’è anche l’altro lato, quello oscuro, quello dell’entropia, del malinteso. Possiamo concentrarci su un lato o sull’altro, oppure semplicemente accettare questo compromesso che fa andare avanti la cultura e il mondo. L’energia elettrica da un lato ci permette di suonare una chitarra elettrica, dall’altro porta all’energia atomica, o ad una piramide di organizzazione sociale che è quella contro la quale le chitarre elettriche vengono usate nelle canzoni cosiddette ribelli. La nostra non è protest music, non ho mai voluto far parte di una band che diceva al pubblico come e cosa pensare.

Cosa suonerete stanotte? (l’intervista ha avuto luogo alla fine di agosto a Mulhouse, in Alsazia, dove This Is Not This Heat hanno suonato al Météo Festival)

Stanotte suoneremo esclusivamente musica dai tre dischi, a parte un paio di pezzi. Non suoneremo nessun inedito: abbiamo ripreso in mano il vecchio materiale, abbiamo eliminato l’uso delle tapes e abbiamo dei musicisti aggiuntivi con qualche nuovo arrangiamento. Nuovi vestiti e nuove circostanze per vecchie canzoni. Antonine Artaud, un altro genio del ventesimo secolo, sosteneva che nessun testo fosse completo (Hayward dice “no text is complete”, ndr) e da qui discende poi chiaramente anche l’idea del remix: quando ho letto quella frase mi si è allargato il respiro, ha risuonato profondamente con quello che sento: è un pensiero del 1946 o giù di lì, ancora una volta, è la storia che si ripete. Non ho mai suonato canzoni che la gente si aspettava, mi sono sempre mosso in un’altra direzione, in qualche modo l’obiettivo è sempre stato quello di guardare avanti, invece questa volta il focus è sulla memoria. Non abbiamo compiuto progressi anche se crediamo di averne compiuti, nonostante tutta questa tecnologia, siamo ancora allo stesso punto. Per questo abbiamo deciso di conservare il progetto esattamente com’era, non funziona come con altre band, ad esempio Wire, che suonano nei loro concerti cose del passato miste a cose nuove. Noi vogliamo restare dentro alla memoria, è una spinta emozionale quella che ci muove in questo caso.