Nicola Perfetti e Alberto Mesirca: due chitarre, oggi

ALBERTO MESIRCA, Free Guitar On Earth (Da Vinci Classics)
NICOLA PERFETTI, New York Portrait (Setola Di Maiale)

Un chitarrista elettrico davanti alle immagini bianco nere di Peter Hutton. Un chitarrista classico davanti a compositori contemporanei. Nicola Perfetti con New York Portrait per Setola Di Maiale e Alberto Mesirca con Free Guitar On Earth per Da Vinci Classics ci raccontano storie ed emozioni. Queste, pur scaturendo da stimoli diversi, visivi e scrittura musicale, pur evocate dalla stessa famiglia di cordofoni ma con estetiche lontane, suono elettrico e acustico, pur sviluppate su fronti espressivi differenti, improvvisazione e interpretazione, possiamo rischiare di affiancarle nelle loro estreme diversità come un unicum, come opere d’arte.  Rischio reso possibile grazie ad artisti che garantiscono nei loro contesti un rigore, un senso di opera, messa in scena.

Mesirca legge dodici compositori italiani viventi (più altri cinque, disponibili in digitale sul sito dell’etichetta) disegnando un affresco, ricco, mobile, senza disperdere nulla, riconducendo i mondi sonori a una visione omnicomprensiva. Le miriadi di sfaccettature di Free Guitar On Earth al termine dell’ascolto è come si ricomponessero in un puzzle vivace che ritrova un proprio senso, una forma. Una chitarra contemporanea che non dimentica la propria storia, passioni popolari, citazioni melodiche, l’importanza del gesto. Tutto questo lo viviamo subito nella prima traccia Sonata “Lettera A Fryderyk” (2014) di Angelo Gilardino, che si snoda in tre parti dove elementi ritmici, ricchezza armonica, ripetizioni e riflessioni si spalmano in un percorso accattivante, mai criptico, solare. Sempre estraniante Salvatore Sciarrino che cammina su altri sentieri. Con “L’addio A Trachis II” (1980) – nato in realtà per arpa, trascritto per chitarra da Maurizio Pisati nel 1987 – sviluppa una ricerca che si caratterizza in un rincorrersi asfissiante di cellule ritmiche, interrotte da lampi di luce improvvisi, per approdare nel finale su un’isola lussuriosa forse deserta. Sulla stessa sponda anche “Minuta” (2019) di Filippo Perocco, che si apre con un colpo dal retrogusto metallico, poi ripetuto, che libera onde sonore, corde pizzicate fatte vibrare, accordi densi come movimenti del mare. Costruzione minuziosa di scenari brevi, come elementi vitali di una sceneggiatura dove si muovono personaggi misteriosi che vagano, cercano. Si sente subito la mano di Giovanni Sollima in “Free Life On Earth” (2007). Una nuvola melodica pop, intima, elegante ed evocativa, replicata sottovoce, attraversata da arpeggi e incisi come lampi di memoria andalusa, mai nostalgica. Nella sua magia un cammeo assoluto. Che contrasta mirabilmente con “Kcor” (2016) di Marco De Biasi, dove invece il rotolare di masse ritmiche dark costruisce una coinvolgente tensione di ambienti urbani in cui si rivivono emblematicamente, nei dubbi dell’oggi, scontri atavici, istinti primordiali.

Perfetti ci rende le immagini mute di Hutton (le tre parti di “New York Portrait” sono disponibili su YouTube), il denso bianco nero di una New York cruda, i profili urbani astratti, la poesia del dettaglio, i fantasmi di un’umanità che sopravvive, soprattutto il silenzio, con un distacco che rende la performance di per sé autonoma anche sganciata dal film; senza mai alzare i toni (che tanto eccita i chitarristi elettrici), ma lavorando più sull’introspezione, la ricerca della profondità, il disegno di uno spazio emotivo, con un altrettanto coinvolgente uso dell’elettronica, non sottofondo neutro, ma parte decisiva della costruzione sonora. Nel raccontarci “New York Portrait” Perfetti ci avvolge con una ipnotica ragnatela di suoni sospesi, silenzi e grumi sintetici. Richiama stimoli fantascientifici che rimandano oltre la lettura di un film, quello di Hutton, fortemente agganciato ad una visione socio-estetica della realtà di una città, con una umanità complessa, malata, che si muove in uno spazio architettonico oppressivo quanto irreale. Ma chitarra ed elettronica sembrano guardare più avanti, scrutano, sognano un futuro. Sembra di scorrere un racconto di fantascienza dove il suono infrange la fissità dell’immagine filmica, la dilata, riuscendo a far emergere un ipotetico mondo del futuro, con valori, regole, tecnologie, religioni e modelli sociali diversi. Evitando di cadere in un facile e rassicurante finale, ci piace leggere gli ultimi minuti di New York Portrait, quando le corde si fanno più morbide, come una luce in fondo al tunnel.