NATURAL INFORMATION SOCIETY and BITCHIN BAJAS
Joshua Abrams è senza dubbio uno dei più interessanti ed eccentrici musicisti-compositori della scena contemporanea. La sua carriera offre, paradigmaticamente, uno spaccato di alcune delle trame musicali più eccitanti che si sono ordite nel corso degli ultimi decenni, da formazioni come Town And Country al trio Sticks And Stones con la sassofonista Matana Roberts e il batterista Chad Taylor (formazione nata in senso al Velvet Lounge, il locale di Chicago, gestito dal veterano Fred Anderson, che è stato un vero e proprio serbatoio di talenti), alle collaborazioni sia con musicisti della scena jazzistica più avventurosa (da Nicole Mitchell a Mike Reid, da Ernest Dawkins a Rob Mazurek e Hamid Drake) sia della scena che, in mancanza di definizioni migliori, chiameremo post-rock (Bonnie “Prince” Billy, Sam Prekop, ma non possiamo dimenticare il suo contributo ai dischi di Daniel Givens, tra i quali Age che rimane una perla di traslucida bellezza).
A proprio nome ha registrato album di spiccata connotazione jazzistica, colonne sonore, episodi di musica elettronica e ha dato vita al progetto Natural Information Society, formazione ad assetto variabile imperniata sull’uso del guimbri – strumento principe della tradizione della musica gnawa – e dell’harmonium, strumento a cui si dedica Lisa Alvarado, compagna di vita di Abrams e artista visiva, a cui si devono anche le copertine dei dischi realizzati dall’ensemble.
Il disco di cui scriviamo è il secondo capitolo, alquanto diverso dal primo, dell’incontro tra Natural Information Society e Bitchin Bajas (il primo, memorabile, era Automaginary, uscito sempre per Drag City nel 2015). L’album è stato registrato in un solo giorno e, a quanto sembra, è idealmente diviso in due parti, come le facciate del 33 giri: la prima indicata come “space” e la seconda “time”.
La formazione completa vede Joshua Abrams alternarsi al contrabbasso e al guimbri, Lisa Alvarado è all’harmonium, mentre Mikel Patrick Avery assicura la componente strettamente percussiva e Jason Stein è al clarinetto basso; con loro i Bitchin Bajas ovverosia Cooper Crain all’organo e al sintetizzatore, strumento che usa anche Rob Frye, aggiungendovi il flauto, e infine Daniel Quinlivan per la parte elettronica. Anche in questo secondo incontro troviamo le splendide tessiture sonore complesse e dense, le affascinanti stratificazioni di strumenti, pur nella diversità di movenze dei brani e con un atteggiamento lontano da altri esiti che Natural Information Society ha conosciuto negli anni.
Il primo pezzo -“Totality” – ha un tono estremamente rilassato, lento e ipnotico; è una lunga, lunghissima, affascinante meditazione collettiva – improvvisata, diremmo – nella quale i suoni si sovrappongono senza mai farsi dominanti, fin quando a poco più di quattro minuti dalla fine si fa strada il contrabbasso che imposta un ritmo insieme alle percussioni su cui riprendono a veleggiare con nuovo vigore l’armonium di Lisa Alvarado, i flauti e il clarinetto. È un brano seducente e di grande forza che imposta le coordinate del lavoro.
A seguire troviamo “Nothing Does Not Show” che procede per territori non troppo diversi e sembra più semplicemente un altro frammento che proviene da una delle improvvisazioni registrate in quell’occasione.
Diverso il discorso per “Always 9 Seconds Away”, che brilla di una compostezza trattenuta, quasi compassata; è un brano che avanza a passi lenti lasciando solo gli squarci dell’harmonium a illuminare un cammino cadenzato, fino a quando tutto diventa improvvisamente più fluido, i legacci si sciolgono e gli strumenti – a cominciare dal clarinetto – possono irrompere e rompere le righe.
Infine “Clock No Clock”, quarto e ultimo brano, dalla durata media, ci riporta alle atmosfere più abituali della Natural Information Society, con il tocco legnoso del guimbri a cadenzare pattern ipnotici, dal sapore ritualistico, in un entusiasmante gioco danzante con la batteria mentre, inesorabile, Lisa Alvarado squarcia la tela sonora con lunghi accordi e tutti accorrono entusiasticamente e quasi dionisiacamente a prendere parte a una vera festa sonora.