MONOFONIC ORCHESTRA, Post_Human Folk Music

Anche la peggior fantascienza è meglio della migliore narrativa contemporanea, diceva Ballard. È necessario fuggire dunque dalla gabbia del racconto, della descrizione, dagli angoli del mondo euclideo, bisogna inventare mondi possibili, perché il futuro non è più quello di una volta, e il presente sbiadisce ogni minuto davanti ai nostri occhi sbarrati. Oggi non esiste musica che non sia artificiale, dice Maurizio Marsico nel libretto di questo nuovo disco del suo progetto Monofonic Orchestra, conseguentemente intitolato Post_Human Folk Music e pubblicato da Spittle. A fronte di una copertina decisamente perfettibile, l’album è davvero ottimo: ne è fulcro la torrenziale traccia d’apertura, “Sticky Metal Tiles”, di oltre 45 (!) minuti, vero e proprio trattato di folk post umano; tra algidi battiti Kraftwerk, synth appuntiti e suadenti e voci robotiche, ci ritroviamo catapultati in un tunnel sotterraneo, come se stessimo pedinando la realtà, per poi uscire a rivedere le stelle dopo sette minuti e fare una sosta benefica in un’oasi dove flora e fauna somigliano a quelle del giardino dei faraoni dei Popol Vuh: a questo punto un basso tra dub e post punk dà il via a un’altra fase, mentre un clarinetto pigro e psichedelico come un gatto salta, con lentezza, da un ramo all’altro. Tutto intorno intanto acqua, uccelli, una chitarra che suona come quella di Manuel Giannini di Starfuckers, poi una divagazione che ricorda i grandi Placebo di Marc Moulin (con i suoni di selva e le risate in sottofondo, il richiamo ad “Aria”, brano letteralmente fantastico, è istantaneo), ma il pezzo non riparte, l’acqua continua a scorrere rumorosa, è il momento del riposo dopo essere stati in preda a tante visioni, è il chill out necessario dopo che il trip è salito e sceso. Si può allora ripartire, diretti non si sa dove, con un beatbox inaspettato e incalzante a incombere sul basso sornione di prima, con chitarre sfasciate e una tastiera che sembra suonata da un bambino, elementare e sbilenca. Dopo qualche minuto di questo strambo quasi hip hop, si torna alle algide e lunari scansioni ritmiche iniziali, music non stop, Germania, Roma, Detroit, il corriere cosmico a questo giro ha portato roba rara e potente in un pacchetto anonimo, sembrava fosse scesa e invece no, mai fidarsi delle apparenze… Dr. Mc Cormick, Dr. Mc Cormick, la ionizzazione si sta estendendo, poco prima del minuto 28 mi guardo per un attimo riflesso nello schermo del pc e vedo che le mie orecchie sono diventate come quelle di Spock, e poi sono tre minuti di suoni davvero ultraterreni, come gli effetti speciali di Forbidden Planet, la fantascienza degli anni ‘50 catapultata in un futuro distopico e residentsiano; successivamente un pianoforte jazz geniale che atterrisce perché umano, troppo umano, che suona irreale come il dialogo tra Jack Nicholson e Mr. Grady in “Shining”, sotto la coltre della quiete apparente cova un’angoscia panica, e infatti di nuovo le ansie congelate, le voci che di umano non hanno più nulla, dei bassi semplicemente perfetti (molto ampia la tavolozza timbrica utilizzata e sempre in modo efficace e caldo, comunicativo) entrano aprendo sipari, mostrando orizzonti, suggerendo altri stupori da pellicola: la pellicola acquea che protegge il nostro occhio intanto continua a essere parzialmente secca, dicono che sia per questo che quando sei sotto allucinogeni puoi avere strane visioni, alla fine siamo solo burattini chimici, nient’altro, fiato di statue, ipotesi, ghiandole, esseri appesi al caso, briciole della Storia, e allora il trip continua, dalle fredde folate dello spazio si ritorna in un qualche modo a casa, di nuovo un rumore di acqua e uccelli ad accoglierci, e adesso il beatbox, perché non esiste una frase significativa, anche la voce è solo un suono, poi un synth tiepido come una coperta di Linus, infine restano solo l’acqua e una voce di robot.

Tre quarti d’ora di esplorazione purissima che Marsico (a un esercito di synth e marchingegni retrofuturistici) ha messo in piedi assieme al clan Massa (Marco alla tromba modificata, Nick alla chitarra cosmica e noise, Francesco al clarinetto e Carlo al basso). Dopo un simile mastodonte, fungono da bicarbonato le due brevi “An Eyebrow In Cursed Fair” e “Another Eyebrow In Cursed Fair2, versioni per la google translate era della mitica “A Rainbow In Curved Air” di Terry Riley, che tra l’altro sarà a fine luglio a Napoli assieme al figlio Gyan.

Tune in, turn on, drop out!

Tracklist

01. Sticky Metal Tiles
02. An Eyebrow In Cursed Fair
03. Another Eyebrow In Cursed Fair