MOHAMMAD

I greci Mohammad nascono nel 2010. Fino a luglio 2015 sono in tre: Ilios, Nikos Veliotis e Coti K. Ad andarsene è quest’ultimo, costruttore di strumenti musicali, colui al quale probabilmente si deve il particolare equipaggiamento personalizzato della band (oscillatori più violoncello e contrabbasso suonati con l’archetto), che scopriremo svolgere solo una funzione pratica (si trasporta più facilmente), oltre a essere bello da vedere. Ilios, per un periodo residente in Spagna, gestisce l’etichetta Antifrost, che pubblica la maggior parte dei già molti lavori del progetto, Som Sakrifis escluso, in quanto uscito inizialmente per la PAN di Bill Kouligas, greco anche lui, cosa che ha di sicuro garantito maggior visibilità ai Mohammad. Interessante, per capire a grandissime linee uno dei punti da cui si parte, leggere il catalogo Antifrost (López, Menche, Karkowski…). Nikos, invece, ha un background da conservatorio, ecco perché alla fine i dischi dei Mohammad sembrano l’incontro tra drone doom e musica classica: densi, gravi, seriosi, composti e con un accenno di melodia. Li vedremo sabato 14 ottobre al Path Festival di Verona: live, ovviamente, sarà possibile saggiare la fisicità del loro sound. L’ufficio stampa del Path ci ha dato la possibilità di spedire loro alcune domande, alle quali Ilios e Nikos hanno risposto “collettivamente” per iscritto…

I Mohammad hanno iniziato nel 2010, ma tutti e due (e il vostro ex compagno Coti) avete una storia musicale più lunga. Perché avete deciso di iniziare quest’avventura insieme? Ha funzionato molto bene, alla fine…

Beh, già dieci anni prima di iniziare Mohammad pensavamo di collaborare a un nuovo progetto. È accaduto solo quando Ilios è tornato ad Atene e ci siamo trovati nella stessa città. Non avevamo idea, in prima battuta, di cosa avremmo fatto assieme, solo la sensazione che alla fine sarebbe stato consistente.

Se sfogliamo il catalogo Antifrost, leggiamo vari nomi. Sono artisti che consideriamo importanti per l’ambient, il noise e la musica non convenzionale: Francisco López (lo conoscete molto bene), Daniel Menche, Lasse Marhaug, Zbigniew Karkowski… sono influenze sul sound dei Mohammad?

Non c’è un’influenza diretta di questi grandi artisti sul nostro sound, ma comunque alcuni di loro sono stati cari amici di qualcuno di noi.

Qualcuno ha cominciato a scrivere che suonate “chamber doom”, probabilmente perché da un lato hanno visto gli strumenti e soprattutto dall’altro volevano mostrare il link tra voi, il cosiddetto genere drone-doom e dunque tra voi e i Sunn O))). Tutti sappiamo che le etichette sono utili per vendere velocemente e meglio le cose. Ma questa definizione v’infastidisce?

Questa è in effetti un’etichetta che è stata attaccata sul nostro progetto, che alla fine funziona come un’illustrazione per qualcuno che non ha idea del nostro sound, ma che dà più suggerimenti che qualcosa di vago come “experimental” o “drone”… non ci infastidiscono le etichette, la libertà d’espressione è una buona cosa.

La vostra musica sembra trovarsi da qualche parte tra classica e sperimentale, prendendo il meglio da entrambi i mondi, forse anche per via dei vostri background diversi. Vi vedere più come performer o come compositori? O entrambe le cose?

Entrambe. Siccome non ci sono parti improvvisate nei nostri pezzi (escludendo le performance live del nostro primo anno), comporre è importante. La vera sfida è mettere insieme la temibilità del suono fisico e i sentimenti scatenati dalla cosiddetta musica organizzata, e suonare dal vivo tutto questo è la principale spinta per il progetto.

Voi suonate strumenti personalizzati. Sappiamo che il vostro ex compagno Coti costruisce strumenti. Noi e i nostri lettori siamo affascinati da questa scelta e vogliamo saperne di più. Sarebbe “possibile” Mohammad senza di essi?

Per la verità il nostro sound è al 99% lo stesso anche se ci togli gli strumenti customizzati. Abbiamo iniziato usando violoncello, contrabbasso e oscillatori non modificati e adesso, per ragioni pratiche e performative, gli oscillatori e il violoncello sono stati fatti su misura, ma il suono è lo stesso, assolutamente. Il cambiamento, se si esclude la gioia di usare qualcosa di unico, ha effetto solo sulla trasportabilità del nostro live set. Un fattore importante è sempre stato quello di registrare ed esibirsi con gli stessi suoni, quindi il set up non è mai cambiato rispetto al piano iniziale.

Sembrate lavorare col tono e le frequenze in modo chirurgico. Una frequenza si porta dietro una vibrazione, e pare che voi ne siate molto coscienti. Il corpo (e le sue risposte) gioca qualche ruolo quando create/performate la vostra musica?

Sì, abbiamo studiato questo nei nostri progetti solisti, chi più, chi meno, e la fisicità del suono, la percezione delle vibrazioni da parte di tutto il corpo, è fondamentale, specie dal vivo.

Avete pubblicato una trilogia che, nelle vostre parole, “esplora l’area geografica tra 34°Ν – 42°Ν & 19°Ε – 29°Ε” (da Tirana a Istanbul, prendendo tutta la Grecia e un pezzo di Mediterraneo, ndr). È un’area con tanti confini, ma la geografia è un’influenza di lungo termine, superiore ai confini, come lo storico francese Braudel ci insegna. Il vostro nome è Mohammad. Entrambe le scelte possono essere considerate anche politicamente, nonostante la vostra musica di base non abbia parole. Vi interessa la politica? Provenite da dove è nata la “polis”.

Tutte le azioni sono politiche in un certo senso, ma si tratta di un processo bidirezionale, perché tu devi considerare l’ascoltatore come parte di esso (non esisterebbe se non ci fosse l’ascoltatore). Comunque non abbiamo un messaggio politico o un’agenda, così come non abbiamo interesse per alcun tipo di confine, religione, politica, nazionalità.

“Hagazussa” è un film horror tedesco. La colonna sonora è composta da voi. È la prima volta? Come vi hanno convinto a collaborare? È servita come esperienza?

“Hagazussa” non è il primo film per cui abbiamo scritto la musica, anche se è il primo lungometraggio. Il regista ci ha avvicinati, lui aveva costruito la storia del film mentre ascoltava i nostri dischi e li considerava un’influenza. L’esperienza è stata grandiosa e speriamo di fare altre colonne sonore in futuro.

Suonerete presto al Path di Verona. I vostri ascoltatori possono capire la vostra musica senza vedervi dal vivo? Quanto è importante per voi portare dal vivo la vostra musica?

Non c’è molto da capire, c’è ovviamente il bisogno di avere un buon sound system per poter apprezzare il sound e avere i brividi lo stesso anche se decidi di stare a casa (e dovresti evitare ad ogni costo di ascoltarci dagli speaker del pc su YouTube). La situazione live, d’altro canto, è l’esperienza completa, è dove lo spazio è il protagonista assieme al corpo di ciascuno di quelli che sono presenti. Il live è un must!