Mizookstra: il video di “Session#5” (e un’intervista)

Il 12 giugno, per Sangue Disken, esce in digitale il primo singolo dei Mizookstra (da “misuk”, parola coniata da Brecht per significare una musica che inglobi anche ciò che non consideriamo musica, e “orchestra”, perché sono in due ma conoscono un trucco per sembrare molti di più…): Simone Garino al sassofono, baritono e contralto, assieme Mario Conte al sintetizzatore e al campionatore. Il progetto si basa sulla spontaneità dell’improvvisazione. “Session#5” è un assaggio della visceralità che segue a una simile premessa. Noi vi facciamo anche guardare il video realizzato per il pezzo da Davide Tosco. Per capire come funzionano i Mizookstra ho pensato io a cinque-sei domande. Loro, non proprio gli ultimi arrivati, sono stati molto chiari, basta leggere avanti.

Improvvisate. Vi parlate prima? Vi date un minimo canovaccio? O vi parlate solo suonando? 

Mizookstra nasce come idea di libertà assoluta, il tentativo di comunicare utilizzando la musica come unico codice. Non decidiamo mai prima cosa e come suonare. Dal vivo cerchiamo anche di non guardarci troppo. Il tentativo è quello di sfruttare in modo creativo dei potenziali limiti imposti. In questo modo il discorso musicale prende forma e si evolve nell’intera durata del set. Un canovaccio vero e proprio non esiste, semmai, data la natura site-specific del nostro live, anche il luogo che ospita la performance può essere parte del linguaggio espressivo. Questo può portare a performance completamente differenti in spazi diversi.

Sto scrivendo queste domande perché esce il vostro singolo: “Session#5”. Dopo pochi secondi ho pensato automaticamente: Peter Brötzmann. Troppo facile? È un’influenza su Simone?

Simone: Beh, è senz’altro un onore essere accostato a uno dei pionieri della musica improvvisata europea, e ti ringrazio. Però, devo dirti la verità, non ho una conoscenza così approfondita di Brötzmann, a parte Machine Gun (che, beninteso, è un disco sconvolgente anche a più di mezzo secolo dalla sua uscita). Ho sempre ascoltato e studiato sassofonisti più “jazz” in senso stretto, come Lee Konitz o Warne Marsh, o al limite Sam Rivers o Steve Lacy, che talora inserivano elementi “noise” all’interno di un discorso più melodico, lirico. In qualche situazione forse mi ritrovo a pensare in maniera più “chitarristica”: da ragazzino uno dei miei gruppi preferiti erano i Sonic Youth, e lo sono ancora adesso. Quel modo di suonare le chitarre ha avuto un forte impatto su di me. Tuttavia, direi che, più che una scelta consapevole e ragionata, qui si tratta di qualcosa di più istintivo. Con Mizookstra ho la possibilità di scavare nel profondo, di esplorare l’ombra dello strumento, e di me stesso. E ovviamente il tutto in dialogo con Mario, il che rende il tutto ancora più interessante e divertente, almeno per me. Spero anche per chi ascolterà il brano!

Mario, visto che tu campioni i sax di Simone, lavori solo di rimbalzo oppure ogni tanto sei tu a proporre?

Mario: Non sempre i brani nascono da campionamenti. Alcune tracce dell’album sono realizzate così, altre partendo da arpeggiatori, linee di drum machine o anche campionamenti dei miei strumenti, ma sempre create all’istante. In ogni caso, il processo non è mai lineare. Mi capita spesso di campionare il sassofono e riproporlo già pesantemente modificato al momento opportuno o addirittura in un brano successivo.

Come ha iniziato Mario a fare live sampling? Gli avanzamenti tecnologici permettono a tutti (e tutti stanno sfruttando la cosa) di campionare o autocampionarsi (magari con un software come Fennesz dal vivo, ma anche con pedali e pedalini, volendo forzare) e ormai la pratica ha una lunga storia. Per questo chiedo. 

Mario: Ho iniziato con i campionatori nell’era pre-laptop, con pochissima consapevolezza. Il campionatore era una roba quasi magica, ai limiti del futuro… (parliamo di un vecchissimo Akai S950). C’erano mille limiti, il suono non sempre di qualità, ma nel compenso era una macchina che proprio per questi limiti ti spingeva a inventare un tuo work-flow creativo per ottenere il sound che cercavi. Lo sviluppo tecnologico ha reso tutto molto più semplice. Software come Ableton Live hanno permesso di realizzare dei live set impensabili fino a pochi anni fa. Io stesso utilizzo Live da tempo. In studio, dal vivo e per installazioni d’arte e multimediali. Per fare live sampling, però, ho sempre trovato il computer (con qualsiasi software) poco reattivo negli start/stop e nel campionare i loop. Le loop station del resto sono quasi sempre troppo limitate fare musica elettronica. Da un po’ di anni utilizzo per i miei live set solo l’Octatrack, a mio avviso una sintesi delle due tecnologie e uno strumento super creativo.

Il b-side – come i veri b-side di una volta, signora mia – mostra proprio un’altra faccia del progetto. Visto che a breve esce un vostro disco intero, cosa dobbiamo aspettarci? La visceralità di “Session#5” o le atmosfere di “Session#9”? O entrambe le cose e tutto quello che sta in mezzo?

Tutto e anche oltre! L’album è stato registrato in una tre giorni di flusso continuo di due coscienze, senza decidere nulla prima. “Session #5” e “Session#9” sono due momenti distinti, ma ci sono anche altre atmosfere, altre creature musicali. Un po’ come sfogliare un bestiario, o se preferisci come entrare in una serra con tante piante differenti e strane: tra l’altro, uno dei nostri primi live lo abbiamo fatto proprio in un vivaio.

Quanto vi manca suonare dal vivo? Cosa ci si deve aspettare da un vostro concerto? Banalmente, chiunque sale su un palco deve fare tutto il possibile, ma voi, visto come vi presentate, forse vi giocate un pochino di più la reputazione.

Simone: Guarda, l’ultima volta che ho suonato dal vivo è stato, mi pare, a inizio marzo: ero in una situazione completamente diversa da Mizookstra, con un trio jazz in un locale della “Torino bene”. Era proprio la domenica dell’inizio del lockdown, e nel mezzo del nostro set è arrivata direttamente la polizia a far uscire tutta la gente dal locale: sembrava un film di fantascienza distopica. Sono passati mesi e ancora non si vede la fine del tunnel, ed è un problema sociale ed economico per molti lavoratori, oltre che artistico. Personalmente mi manca moltissimo suonare dal vivo, credo sia una dimensione insostituibile.

Mario: Mizookstra è un progetto nato live. Il disco è stata una conseguenza. Avevamo una serie di date molto belle in programma per l’estate che sono ovviamente saltate e ci dispiace non poter presentare il disco dal vivo. Detto ciò, stiamo vivendo una situazione a dir poco surreale e il non suonare non è certo la peggior cosa che ci poteva capitare. Speriamo di poter presto ricominciare a fare dei live e soprattutto che magari questa sia la volta buona (ma ho i miei dubbi) per una profonda riflessione sul significato e il peso della cultura in Italia per le istituzioni.

Domanda a microfoni spenti (ma pubblico la risposta, vi avviso): conoscete i Divus, cioè il dj Luciano Lamanna e il sassofonista degli Zu Luca T. Mai? Quando vi sfidate dal vivo?

Sì, progetto super interessante e avvolgente. Per certi versi, una sperimentazione affine alla nostra: letture diverse di un mondo sonoro comune molto dark. Un live assieme sarebbe bello…