MINDWARS, The Enemy Within

MINDWARS, The Enemy Within

Mike Alvord ha fatto parte di un autentico culto del metal anni Ottanta, cioè di quegli Holy Terror che con due soli album hanno lasciato un marchio indelebile nella storia del thrash e non solo, grazie a un sound unico e a un carisma che al tempo fece non pochi proseliti. Dopo venticinque anni di assenza dai riflettori, lo ritroviamo alla guida dei Mindwars (chiaro riferimento al secondo disco della vecchia band) in compagnia di due musicisti italiani, Roby Vitari e Danny “Z” Pizzi, per quello che è un album in cui le radici thrash si fondono e interagiscono con differenti input, così da diventare un blend sfaccettato e per nulla monocorde. Se, a un primo distratto ascolto, The Enemy Within rischia di far colpo più per i richiami agli Holy Terror (per i quali alcuni dei riff erano stati composti: impossibile non sentire l’eco della band madre in pezzi come “Speed Kills”, “Time In The Machine” o “Chaos”) che per la sua personalità autonoma, ascolti ripetuti finiscono per far risaltare proprio i momenti in cui le idee e gli spunti rimasti a lungo in un cassetto sono stati maggiormente manipolati e riscritti dalla nuova formazione. L’apporto dei due compagni di avventura odierni, infatti, è stato determinante nel passare da semplici riff a vere e proprie canzoni con una propria struttura ben delineata. A fare da collante la voglia di rendere i Mindwars una band a tutti gli effetti, con un proprio stile e una propria ragion d’essere, in grado di far proseliti anche al di fuori del ristretto giro degli adepti dell’antico culto e dei die hard fan dell’epopea thrash. Altra particolarità del trio è la presenza di testi in grado di riflettere l’interesse di Mike per le tematiche socio-politiche, così da costruire un concept allargato che finisce per coinvolgere anche la scelta di un brano di Bob Dylan come “Masters Of War”. Il tutto offre all’ascoltatore una convincente prima prova in cui si rintracciano ancora i segni del lavoro su frammenti distanti per umore e data di nascita, eppure capace di mettere a segno alcuni colpi perfettamente a fuoco e di imprimersi in mente senza troppa difficoltà. Se questo è solo l’incipit e il primo vagito della creatura Mindwars, non si può che augurare alla band di tenere fede alle promesse e dimostrarsi più di un semplice progetto estemporaneo, perché The Enemy Within finisce per restare a lungo sul lettore e non fa certo rimpiangere il tempo investito nel lasciarsi conquistare. Sarebbe davvero un peccato relegare questa nuova creatura al semplice ruolo di band dell’ex di turno e dedicargli un ascolto superficiale, poi ciascuno decida per sé, noi alziamo le corna al cielo e scapocciamo a tempo.