MICHELE ANELLI, They Didn’t Fall e In Forgetting + OORT, Hail Mouth
Michele Anelli è un bassista, contrabbassista, sperimentatore torinese.
Ehmm, no.
Michele Anelli è un musicista torinese attivo come solista, negli Oort insieme a Nicholas Remondino, nell’Ensemble Bruitisme e in vari altri progetti più o meno estemporanei. Come nel caso di molti altri musicisti della risma sperimentale, spesso un suo lavoro esce su 30 cassette oppure direttamente in digitale negli anfratti di Bandcamp. Michele è tornato tre volte fra dicembre e gennaio, due da solo, una a nome Oort.
They Didn’t Fall esce per la Invisibilia Editions di Andrea Penso ed è composto da tre brani, ognuno fra i 12 ed i 16 minuti. Si concentra sulla grazia e sulla purezza di persone senza macchia, in grado di incrociare e di passare indenni tra le belve comportandosi con tranquillità ascetica. Lo fa in equilibrio fra pace e nervo, provocandoci un fischio all’orecchio che non sappiamo se imputare all’inizio del secondo movimento. No, che qui ci aspetta il volo di un insetto, amplificato ed elaborato come se fosse di passaggio in diverse camere d’eco, corroborato poi da una linea di basso che potremmeo definire come tellurico, brado e tendente ad una sensazione free jazz-noise che non tarda ad arrivare, accartocciando letteralmente spartiti e atmosfera. Gli insetti i cigolii ed i rumori diventano una costante, con un’ubriacante perdita di senso fra macro e micro, ormai immersi in una natura pronta a centirfugarci grazie alla scoperta di una nuova via d’ascolto. È caos organizzato, fluente e libero, che sembra muoversi come nuvole stratificate e avvolgenti. Sotto di esse gli insetti e noi, come i santi, pacificati al loro cospetto.
In Forgetting, dimenticando. Inizia a risuonare in maniera casuale e complessa, con la sensazione di ascoltare il getto di una piccola idropulitrice su di una forma disomogena, forse proprio un’automobile. Poi però si aggiungono piccole movenze, suoni profondi che legano questo sfondo a un abbozzo musicale rarefatto e intrigante, materico e chiaramente azionato da umani, capace però di sferrare sentori bestiali tanto da farci girare scattando, collegandosi in questo caso (anche se in maniera molto più sottile, quasi un frame nascosto, un’immagine subliminale) a lavori come Mass del qui presente Lorenzo Abattoir (a registrazione, mix e master) o ai Bad Bare Black Bones, senza però riuscire a vedere l’animale. Ma siamo già oltre, fra clangori dimessi come se fossimo nell’infinito corridoio dell’Haze di Tsukamoto. Coi suoni di Michele Anelli ci si può lasciar andare senza forzatamente cercare bellezza, armonia o melodia, facendosi però cullare da rumori concreti mai spezzati e mai respingenti, quasi come ci fosse una predisposizione all’incontro fra la disconnessione umana e quella sonora. Il tutto con la freschezza di una jam session a piccoli passi, dove i musicisti osano nel loro mood rumoroso senza però cercare risoluzioni e rivalse, aprendo invece porte e canali nell’ambito noise e sperimentale. Le sonorità sono spesso calde e si sentono il legno e la corda vibrare e torcersi, flessuosi ed elastici. Un nastro come In Forgetting potrebbe essere un viaggio di quelli che potrebbero aprire porte definitive. Per chi invece da quelle porte c’è già passato rimane l’emozione di un gesto e di un musicista, Michele Anelli, mica da ridere.
In trasferta nipponica gli Oort, dopo gli exploit di Psalm e Purity dello scorso anno, confermano tutto quanto di buono si possa pensare su di loro. In due riescono a lavorare su una massa sonora che veleggia come le astronavi di Peter Kolosimo su di un mondo che difficilmente riesce a decodificarla (sembra una sorta di psichedelia secca e porosa), ma rimane ammaliato da stazza ed eleganza. Il lato B del nastro risplende di vibrazioni pulite e limpide, che seguono il laconico bianco e nero del supporto scelto. Un lavoro dove le note risuonano come necessità composite, frutto di un amalgama che traduce in vibrazioni indoli e ricerche. Par di immginare il soggiorno di Michele nel momento della creazione, quasi in un tempo sospeso dove con sbuffi e rimbrottii mai così calmi si è riusciti a dare forma qualcosa di pacificato, che a tratti ricorda addirittura un Eric Satie in disgrazia, prontamente sommerso da altri suoni, catartici, che ci guidano alla fine di questa avventura con la certezza che gli Oort non sono unicamente la somma delle parti di Michele Anelli e Nicholas Remondino, ma uno dei progetti più intriganti dell asperimentazione presente, in Italia ed oltre. Noi intanto speriamo di vederli presto dal vivo, intanto lucidiamo il mangianastri.