MICHAEL GREGORY JACKSON CLARITY QUARTET, Whenufindituwillknow

MICHAEL GREGORY JACKSON CLARITY QUARTET, Whenufindituwillknow

Per citare Bill Frisell, Michael Gregory Jackson è tra quei chitarristi misconosciuti che hanno contribuito all’evoluzione del logos jazzistico nella New York degli anni Settanta, influenzando profondamente quella stagione straordinaria d’avanguardia.

Poco più che adolescente, troviamo Michael al fianco di Oliver Lake e altri nomi seminali. Uno stile estremamente versatile, accompagnato da una capacità di utilizzare al meglio i nuovi ritrovati dell’elettronica, fa di lui uno dei chitarristi più originali di quella generazione. Ne parla in questi termini anche Pat Metheny.

Negli anni Ottanta approda in ambito rock, dove collabora anche con personaggi di prim’ordine come Steve Winwood e Carlos Santana. Il suo suono si fa più convenzionale, curvandosi sugli stilemi dettati dalle esigenze discografiche e di mercato.

L’ultimo decennio segna per Gregory Jackson un sostanziale ritorno alle origini. Riannoda i fili di un discorso sospeso tra l’esigenza di sperimentare e un certo gusto espressionista per l’improvvisazione. Quest’operazione di recupero non è mai nostalgica, risponde invece a un’esigenza di riappropriarsi di un linguaggio che gli consente di aprire sempre nuove prospettive di libertà assoluta, condizione indispensabile per lo sviluppo pieno di potenzialità compositive indiscusse. Tra il 2009 e il 2011 partecipa a due dischi memorabili dell’eclettico trombettista Wadada Leo Smith (editi dalla Cuneiform), grazie ai quali torna prepotentemente a quella gestualità sonora che lo aveva contraddistinto in passato. Tra scorribande improvvisative e raffinate ricerche sonore arriva in quegli anni all’idea di trasferirsi in Danimarca, dove riuscirà a porre in risonanza i suoi contenuti con ambienti decisamente nuovi ed inesplorati. Lontano dai legacci propri dei circuiti convenzionali, tipici di un certo modo di fare jazz, Michael riesce a valorizzare a pieno il suo modus operandi, sospeso tra improvvisazioni cariche di verve e suoni cristallizzati, limpidi che annunciano una sopravvenuta sapienza compositiva. L’adolescente portentoso lascia il campo al musicista maturo che arriva a giustapporre con cura ogni suono, ogni slancio ritmico, ogni cellula armonica in un flusso denso ma scorrevole e soprattutto riconoscibilissimo.

Questo Whenufindituwillknow, edito dalla Golden Records nel febbraio 2019, è uno straordinario esercizio di equilibrismo stilistico: Jackson riesce a condensare le sue diverse propensioni formali in un’unica immagine che appare quindi molto variegata ma non per questo confusa o convulsa. S’intuisce sempre una direzione, una prospettiva appunto dove si aprono melodie, temi, obbligati ritmici sempre in relazione organica con le bellissime improvvisazioni, col sax di Simon Spang-Hanssen diventa spesso un contrappunto indispensabile al dipanarsi delle linee disegnate dal leader.

Whenufindituwillknow è un caleidoscopio che potrebbe apparire disarticolato, ma che da subito lascia intravvedere l’esperta regia di Michael e del suo strumento. Riflessi e rifrazioni, più che comporre un quadro caotico, s’inseguono in una serie di fascinose composizioni di estrazione differente ma con una sola impronta riconoscibile, che fa vivere l’intero lavoro su due livelli distinti, che riportano però entrambi alla forza espressiva e compositiva del suo creatore. Sfumature fusion seguono momenti di rarefazione, scomposizioni armoniche di notevole arditezza precedono temi sibillini, improvvisazioni fulminanti sfociano senza traumi in trame ordite con rigorosa abnegazione.

L’album si chiude con una struggente e delicatissima “Meditation in E (Dedicated To Karen)” dove è riconoscibile la forza immaginifica di Michael, la sua sensibilità eufonica produce una coltura da cui germogliano suoni minimi, canti di sax appena accennate sono luminanze appena percettibili che aprono al sogno.

Accanto alla chitarra di Gregory Jackson troviamo un trio di musicisti straordinari, composto dal già nominato Simon Spang-Hanssen al sax alto e sax soprano, da Niels Præstholm al basso e da Matias Wolf Andreason alla batteria.