MICHAEL GIRA + FABRIZIO MODONESE PALUMBO, 27/3/2014

Michael Gira

Bologna, Locomotiv.

Il fatto che un frontman di qualche famosa band applichi le sue doti anche a un progetto solista è ormai prassi consolidata, soprattutto negli States, dove non importa se tu suoni nu metal, il violoncello o fai industrial: prima o poi dovrai metterti da solo sul palco con una chitarra e commuovere il tuo pubblico. Michael Gira ha sempre affiancato agli Swans una buona dose di collaborazioni in solo, presentandosi come cantautore (in senso lato) sin dal ’95. La pelle che ricopre i dischi degli Swans è riconducibile a quella che Gira propone nei suoi lavori, poi la struttura è lontana anni luce e molti lo sanno, infatti – diversamente dai sold-out degli ultimi live della band di New York – stasera si registra una scarsa partecipazione. A quanto pare, il nome grosso non basta a far varcare la soglia del cambio di genere. In ogni caso l’atmosfera è apprezzabile, intima, e forse anche Gira preferisce così, tanto che propone persino di suonare non amplificato. Partiamo però dall’inizio.

Uno dei primi problemi riscontrati pochi secondi dopo che Michael Gira sale sul palco è la questione fotografia: ancora esiste qualcuno che non conosce il suo carattere? Non vuole scatti, ma sembra difficile oggi godersi un concerto senza i-Phone, tanto che il concetto “no foto” dovrà essere ribadito due volte prima che qualche fan la smetta di usare il flash e registrare il tutto. Gira cerca, durante tutto il live, di creare una connessione privata col pubblico: ce lo dice in modo chiaro, suona per noi, quasi con noi. Per la maggiore il repertorio è tratto dalla sua discografica solista, un paio di pezzi dai side-project. La resa è buona, ma non ottima, anche lui non si dice soddisfatto dell’audio e di come voce e chitarra vengono mixati, inoltre alcuni intoppi con le casse spia incendiano il suo animo e si nota l’irrequietezza tra una canzone e l’altra. La voce rimane comunque estrema e profonda, la cadenza delle sue dita sulle corde ricrea lo stesso effetto dei suoni che in The Seer sembravano precipitare schiacciandoci. Il momento più intenso l’ho vissuto durante “Oxygen”, dall’ultimo I Am Not Insane: il timbro vocale è struggente, quasi spiritico, alcuni fan la cantano insieme a lui, altri si commuovono. Il set dura un’ora e mezza, fra canzoni, incomprensioni con il tecnico audio, scambi col pubblico, rimproveri, battute, tutto con la lunaticità degna di uno dei più imprevedibili compositori degli ultimi trent’anni. Ovvio, non si è messo a recitare “I Am An Infant, I Worship Him”, però alcuni testi erano proprio delle sberle alla coscienza. Che poi a suo avviso tutti noi possiamo salvarci, è lui ad essere dannato.

P.S.: Nel 2002 Fabrizio Modonese Palumbo e i suoi Larsen uscirono per la Young God di Gira, che volle produrre il loro disco (pur senza mai poterli vedere in faccia durante tutto il lavoro, si dice). Nel 2014, dopo aver sentito il torinese aprire per lui e non conoscendo bene il suo lavoro, possiamo solo aggiungere che ebbe un’ottima idea.

Fabrizio Modonese Palumbo

Foto di Michele Maglio.