METZENGERSTEIN, Albero Specchio

Albero Specchio

L’urlo liberatorio che caratterizza la parte finale della traccia d’apertura dice più di mille recensioni. Quello dei Metzengerstein (quartetto toscano con membri degli altrettanto interessanti Holy Hole) è uno sciamanesimo perso nei pesanti fumi dell’oppio, una liberazione psichica dalle onnipresenti frustrazioni umane, che si traduce in gran musica celebrativa. Una messa nera senza capri espiatori (“צ” lavora con organo e schegge di chitarra come fosse praticamente free jazz…), solo officianti chini a reiterare una formula artistica ai limiti del tossico, evocativa e senza troppi fronzoli (pensate al krautrock più folle). “Ө” è sofferenza pura: l’arpeggio di chitarra ricorda ebete un malessere esistenziale privato con l’ausilio di synth e percussioni sorde, e l’assolo di quello che sembra un sax arriva come un fantasma a sparigliare un pezzo notevole e ben architettato. La traccia del secondo lato di questa tape (che esce per la Sonic Meditations di Expo ‘70) è poi l’intreccio di mille influenze, una per tutte la musica di ascendenza indù e lo space rock (in sintesi, quel rigagnolo che è l’assolo pare suonato da un Ravi Shankar in trip negativo), come a rappresentare lo spettro di mondi sempre più criptici. Infine menzioniamo con piacere la presenza di Donato Epiro (Cannibal Movie), al flauto nel pezzo di chiusura. Si rischia dunque di rimanere tramortiti da composizioni come queste, che odorano forte di incenso e che davvero somigliano a cortine fumogene che ti fanno perdere l’orientamento.

Qui, credetemi, c’è della stoffa, e i ragazzi sono più che una promessa.