Memorie Islandesi: tra Bjork, Sugarcubes e Reptile

Parlare oggi di Islanda e rock non fa più scalpore, tuttalpiù può ingenerare un pizzico di curiosità, quel leggero gusto di esotismo. Chiaro che Björk venga subito associata al binomio, ma l’Islanda non è stata solo lei. Quando, a fine anni Ottanta, si scoperchiò il cratere musicale del paese dei ghiacci, insieme ai “celebri” Sugarcubes, nei quali militava la stessa Björk, ne uscirono fuori una serie di band interessanti e particolari. Che, con dispiacere, vennero più o meno sommerse dal successo della cantante dallo sguardo profondo e dalla voce incandescente, lasciando poche tracce di quel piccolo movimento rock/new wave che scuoteva Reykjavík.

A parte il fenomeno Abba, la Scandinavia, fino agli anni Ottanta, era rimasta abbastanza marginale in quanto a formazioni rock e dintorni, pur producendo in ogni caso materiali di buona qualità. L’esplosione del Progressive rock aveva facilitato, come un po’ in tutta Europa, Italia compresa, l’affermarsi di vie nazionali al rock e Bo Hansson fu uno degli esempi di maggior qualità da questo punto di vista. Il tastierista svedese produsse, negli anni Settanta, alcuni pregevoli album (su tutti Sagan Om Ringen, pubblicato dalla Charisma come Music Inspired By The Lord Of The Rings nel 1972), meritandosi la piccola e circoscritta fama tributatagli a suo tempo. Dalle stesse parti si muoveva anche il bassista e compositore finlandese Pekka Pohjola, membro della band Wigwam e autore di validi lavori solisti anche insieme a Mike Oldfield. Più interessanti, e anche leggermente più conosciuti i Samla Mammas Manna, gruppo svedese inserito nell’alveo Rock In Opposition insieme ai nostri Stormy Six e ai ben più noti (e ispiratori del movimento) Henry Cow. Fin qui, comunque, nulla che provenisse dalla terra del ghiaccio. Ma la rivoluzione punk, e le susseguenti ramificazioni dark/new wave, diedero spazio e spunti creativi anche alla piccola scena islandese, e alla metà degli anni Ottanta cominciarono ad emergere suoni e note da quell’estremo lembo d’Europa.

Gli Sugarcubes furono la scintilla che illuminò l’isola, riscuotendo un successo inaspettato in patria e all’estero. Il loro primo singolo “Birthday”, nel 1988, lanciò nelle chart inglesi l’album Life’s Too Good, edito dall’etichetta One Little Indian (successivamente anche Chumbawamba, The Shamen e Skunk Anansie in catalogo), un mix di suoni pop/new wave, elementi eterei e ruggiti infuocati, a metà tra B-52’s e Talking Heads con lontani echi di Siouxsie. Il successo, non solo in Albione ma anche dall’altra parte dell’oceano, li portò in tour negli USA alla fine del 1988 a raccogliere ulteriori consensi e a programmare quindi un successivo album. Ma i contrasti interni al gruppo, con la separazione di Björk dal chitarrista Thor Eldon Johnson e probabilmente differenze di vedute, li condussero a pubblicare un secondo lavoro debole, meno incisivo e ispirato, a segnare in modo inaspettato il rapido esaurirsi della formula vincente. A quel punto il gruppo implose, arrivando al terzo album – tra varie edizioni di singoli ed ep – ormai da separati in casa. Stick Around For Joy, del 1992, raccolse critiche migliori del suo predecessore, arrivano persino ad aprire lo Zoo Tv Tour degli U2 ma la strada era ormai segnata e il gruppo chiuse così, giusto in tempo per permettere a Björk, l’anno successivo, di lanciarsi nel 1993 nella sua trionfale carriera solista con Debut.

Tuttavia, anche se finora abbiamo parlato di Sugarcubes/Björk, l’attenzione di questa puntata di Weird Tales è rivolta ai dintorni, alle storie dimenticate (as usual!): il divorzio di poche righe fa ci porta ad una singolare biforcazione della nostra storia, durante la quale, a un certo punto Margrét “Magga” Örnólfsdóttir, di professione tastierista, convola a nozze con il chitarrista degli Sugarcubes e si aggiunge al gruppo, diventandone a tutti gli effetti un nuovo membro e quindi partecipando alle registrazioni del secondo e del terzo ed ultimo disco. Ma da dove arriva Magga?

Tra le miriadi di gruppi e piccole formazioni che scuotono Reykjavík negli anni Ottanta, ce n’è una particolare, bizzarra, stravagante, meno legata all’estetica anglosassone e con vaghi riferimenti al suono etno/world, pur se declinato in modo assolutamente personale. Sono i Reptile, Risaeolan in islandese, formati da Halldòra Geirharosdòttir, alias Dòra Wonder, attrice, cantante e sassofonista, Margrèt Kristin Blondal, alias Magga Stina, voce, violino e marimba, Sigurour Guomundsson, alias Siggi, chitarra, banjo e voce, Ivar Ragnarsson, alias Ivar, basso e synth, e Toti Kristjànsson, alias Toti K, alla batteria. Ai quali va aggiunta, per l’appunto, Magga, che come si è visto nel 1988 se ne va. Per nulla bloccati dall’abbandono, i Reptile confezionano nel giugno del 1989 il loro esordio discografico, un ep edito solo in Islanda, per poi giungere l’anno seguente al loro primo (e unico, ahimè) lp, Fame and Fossils, preceduto dal singolo Hope/Kebab, entrambi pubblicati dalla indie label inglese Workers Playtime. Il disco è un autentico gioiellino che sprizza vivacità da tutti i pori, sfrontato e irruento come una punk band ma con le radici nel folk europeo. I richiami agli Sugarcubes ovviamente sono molti, a cominciare dalle voci femminili fino ai riferimenti non troppo velati ai B-52’s. Ma, come già accennato, il tutto è speziato di etno/world, con violini, sax, banjo e marimba che svolazzano sull’Europa dell’Est e furoreggiano insieme a un’impetuosa ritmica di stampo new wave, saltando velocemente da un brano all’altro, senza posa. “Allah” è un Oriente evocato, ossessivo e trasfigurato, mentre “Ivar Bongo” proviene da Balcani acidi e stralunati, con “Candyflos War” – dalle atmosfere alla Sugarcubes – e l’ipnotico ed incisivo rock “Gun Fun” ad alzare la temperatura del tutto. Suggestioni teatrali contrappuntate dal banjo in “What Are You Up To?”, filastrocche nostalgiche dalla Russia con “Shdee Myenya” mentre il finale, “Boys Will Be Boys”, lascia spazio al pieno furore punk rock chiudendo un album di valore, eterogeneo ma con una sua caratterizzazione stilistica unitaria, frutto di molteplici influenze sintetizzate con grande senso artistico.

Il gruppo ottiene riconoscimenti all’estero (sempre sulla scia del successo degli Sugarcubes) e nell’estate del 1990 parte per una serie di concerti negli Stati Uniti, tra i quali uno alla Knitting Factory di New York, con David Byrne tra il pubblico. Poi un tour in Europa e progetti per il secondo disco che, purtroppo, non andranno in porto. Prima Dòra Wonder è costretta a mollare per continuare i suoi studi come attrice teatrale, sostituita da Hreinn Stephensen alla chitarra e alla fisarmonica, poi l’abbandono di Magga Stina, in attesa di un figlio e intenzionata a lasciare il mondo musicale, quindi lo scioglimento definitivo pur avendo iniziato a registrare nuovo materiale con il batterista degli Swans Roli Mosimann. Queste registrazioni, insieme a vecchi brani e gran parte di Fame And Fossils, verranno poi pubblicate nel cd postumo Efta! dall’etichetta islandese Smekkleysa (che promosse gran parte della scena rock alternativa dell’isola, tra i quali gli stessi Reptile).

Un gran peccato perché, a distanza di più di trent’anni, la musica dei Reptile è ancora attuale, fresca e moderna. Forse troppo, il che spiegherebbe, in parte, i motivi del loro poco successo, soprattutto rispetto agli altri protagonisti di questo pezzo. Come molte altre volte nella storia della musica (e non solo), forse ci si è spinti troppo in anticipo sui tempi e lo si è pagato caro.

Difficile trovare il Lp Fame and Fossils oppure il cd Efta!, e quindi questo è il link di Youtube per ascoltare il particolarissimo lavoro dei Reptile. In più, un paio di siti dove si parla del gruppo e dove è possibile avere qualche informazione in più sulla scena islandese degli anni Ottanta.