MEMORIAM, To The End

Il precedente Requiem For Mankind ha chiuso la trilogia del ciclo della morte, iniziata con For The Fallen – tributo all’amico scomparso Martin “Kiddie” Kearns (batterista dei Bolt Thrower) – e servita ai Memoriam per elaborare il lutto e portare a pieno regime la macchina, riff dopo riff, brano dopo brano. Non a caso l’ultimo di questi tre dischi rappresentava al meglio il mix tra death old school e voglia di cercare un proprio marchio di fabbrica, così da essere riconoscibili in mezzo ai tantissimi concorrenti. Sarebbe stato semplice continuare su questa traiettoria e lasciare che i successivi dischi fossero un mero avanzamento dello stato dell’arte senza eccessivi scossoni. Invece, come la nostra intervista con Karl Willetts ben evidenzia, i Memoriam non amano dormire sugli allori e sono spinti dalla necessità di mettersi di continuo in discussione con nuove sfide e nuove motivazioni. Ciò che avviene con To The End è proprio questo: forti di un sound personale e, pertanto, non più preoccupati dalla necessità di farsi riconoscere, ci si può ora permettere di lasciarsi andare a giocare con le spezie per ottenere un lavoro segnato dal coraggio di scombinare le carte pur senza perdere la base della ricetta. Sia chiaro, sempre di un disco death metal si tratta, con la classica botta di energia e il groove che dona giusto ritmo al tutto, ma ogni brano ha una sua connotazione precisa e un suo sapore particolare che rende To The End vario e mai uguale a sé stesso. Si passa così (lascio al lettore l’accoppiare le spezie ai titoli) da strizzate d’occhio al doom a un retrogusto post-punk, passando per richiami al d-beat e via di questo passo, tutti piccoli indizi, riflessi nello sfondo, che riescono però a rendere tanto piacevole quanto gratificante il tragitto predisposto dalla band per il suo pubblico. Non si può negare che l’ingresso in formazione di un batterista del calibro di Spike T. Smith (con all’attivo collaborazioni con Damned, Sacrilege, English Dogs, Morrissey, Killing Joke, Steve Ignorant/Crass, New York Dolls, Conflict, H.R….) abbia portato dinamiche e varietà nella sezione ritmica ad assecondare la voglia di Scott Fairfax di giocare con soluzioni di chitarra differenti e nuovi spunti, ma è palese come sia l’intera band ad aver beneficiato dell’esperienza accumulata nella prima parte della sua esistenza per lavorare a tempo pieno, così da rendere questo nuovo lavoro rifinito in ogni aspetto. Come ultima annotazione, anche l’artwork creato dall’ormai sodale Dan Seagrave stacca di netto con i toni e le atmosfere dei primi tre album, sia per la scelta del colore e la sua luminosità, sia per il rappresentare un’azione in divenire e non alla fine. C’è, dunque, molto più di quanto ci si potrebbe aspettare all’interno del primo capitolo del ciclo della vita, ennesimo punto di inizio e nuova sfida per musicisti che in fondo potrebbero vivere di rendita e non sciattarsi più di tanto per rimettersi sempre in discussione, tanto da rinunciare anche alla comodità di una label rinomata per seguire una persona di fiducia nella sua nuova avventura. Solo per questa loro attitudine fuori dagli schemi e coraggiosa noi tiferemo sempre per loro.

Tracklist

01. Onwards Into Battle
02. This War Is Won
03. No Effect
04. Failure To Comply
05. Each Step (One Closer To The Grave)
06. To The End
07. Vacant Stare
08. Mass Psychosis
09. As My Heart Grows Cold