MCLUSKY, The World Is Still Here And So Are We

Conobbi i mclusky anni dopo il successo del loro Do Dallas, che echeggiò anche in Italia. Si sciolsero nel 2005, tornando dopo una quindicina di anni scarsi e prendendosi comunque un discreto lasso di tempo per rientrare in studio. A sostenerli oggi è Ipecac Recordings, mentre i gallesi mettono 13 brani che sembrano quadrati sul punto di sfasciarsi. Linee di basso gonfie, cattiveria e la capacità di rimanere nell’alveo dell’orecchiabilità pur mostrando i muscoli e scegliendo quando ondeggiare da una parte all’altra. Così il disco acquista dinamismo e per un assalto frontale che amplifica il potere irridente di un Mark E. Smith abbiamo una “People Person” che potrebbe essere non distante da certi Jesus Lizard. Ma, intendiamoci, non c’è nulla di derivativo in ciò che i mclusky fanno, non quanto il lordarsi le maniche con post-punk, noise e hardcore, insomma. Andrew Falcous è in gran forma e sembra avere i coglioni girati, motivo per il quale si muove liberamente come un cane rabbioso, mentre Damien Sayell e Jack Egglestone, rispettivamente a basso e batteria, lo assecondano dandogli dei limiti e delle pareti sulle quali sbattere sonoramente. “Way Of The Exploding Dickhead” riprende i corpi sotto sforzo in palestra in un videoclip che sembra mostrare uno sfogo che diretto verso la classe dirigente potrebbe avere conseguenze di rilevanza penale. “The Battle Of Los Angelsea” butta una linea melodica sotto una sferragliante copertura sporca e tribale, creando un equilibrio che sembra essere il marchio di fabbrica attuale dei gallesi. Poi ancora un raggio di luce tropicale come “The Competent Horse Thief” e più in generale l’impressione di essere davanti a un lavoro che libera in scioltezza massa e profondità. Infatti, parafrasando la loro the “Digger The Deep”, quanto in profondità tu vada li troverai sempre sorridenti, strafottenti e lucidi davanti a te. Ascoltandoli, minuto dopo minuto, brano dopo brano, disco dopo disco, ne riconosci l’unicità, la personalità e la capacità di arrivare al limite, urlandoti davanti al viso e schizzandoti di sudore. Te lo immagini Falkous in “Autofocus In The Prime Directive” a dieci centimetri dal tuo naso in prima fila, oppure ammansirti con una “Not All Steeplejacks” narcotica ed ubriacante insieme. Ma la carica non è ancora finita, altri due brani brevi ed intensi ad aprire la strada per un gran finale, una “Hate The Polis” che è insieme summa e coronamento (oltre che il brano più lungo del lavoro, con 3:38 minuti all’attivo) di un percorso spettacolare.

L’album è al termine dopo 33 minuti, il tempo giusto per dimostrare come i mclusky siano tornati e non convenga metterli in dubbio, né disturbarli.