MATANA ROBERTS, Coin Coin Chapter Four: Memphis

MATANA ROBERTS, Coin Coin Chapter Four: Memphis

Il quarto capitolo della serie Coin Coin, realizzato dalla poliedrica sassofonista Matana Roberts e pubblicato dalla Constellation Records, ha come paesaggio la Memphis del complicato periodo della segregazione razziale. Lei, afroamericana, orgogliosa e veemente, pone a margine della narrazione la difficile infanzia di una sua parente vissuta nella stessa città del Tennessee dove nell’aprile del 1968 fu assassinato Martin Luther King.

La costante di tutta la sua produzione sembra essere la difficile ricerca e la difesa dell’identità culturale degli afroamericani, soprattutto nei momenti più complessi della storia recente degli Stati Uniti d’America. Com’è facile immaginare, i temi arrivano dal suo vissuto, dal suo senso di appartenenza alla comunità nera e dagli studi condotti su i capisaldi della letteratura contemporanea statunitense. Studi che hanno generato una passione viscerale per l’opera di un premio Nobel per la letteratura: la scrittrice recentemente scomparsa Toni Morrison (Chole Audrelia Wofford).

Rabbia e lotta sono solo il preambolo, una facile introduzione all’ascolto di un disco per tanti versi straordinario e vitale, ma difficilmente collocabile a causa della molteplicità di livelli compositivi. Un approccio estremamente eterogeneo apre il lavoro di Matana all’utilizzo di svariati linguaggi senza mai sfiorare il rischio di generare cortocircuiti cognitivi.

Sin dal primo giro si avverte una costante pressione che si fa via via insostenibile, oltre a un pathos formidabile che avvolge i tanti contenuti compressi sino all’inverosimile nei tredici brani in scaletta. È possibile seguire uno o tutti i percorsi tracciati contemporaneamente da Matana, dalla sua voce demiurgica e sacerdotale che racconta, incita, scalpita e poi fremente canta facendo sentire tutti i colori delle sue radici più remote. L’Africa è una velatura sottile e trasparente che però condiziona in modo uniforme i colori di  questo suo nuovo album. Latente ma ben riconoscibile è anche tutto il patrimonio blues e jazz: nel suono del sax appare evidente e indiscutibile l’impronta di Coltrane. Si tratta di riferimenti che nell’opera della Roberts sono sangue vivo e pulsante. Prepotente si afferma inoltre il secondo Novecento, tutta l’avanguardia statunitense si scorge in molte sequenze; impossibile non citare la leggendaria esperienza dell’Art Ensemble Of Chicago ma anche il sassofonista Wadada Leo Smith, come pure è presente un certo gusto per l’atto performativo e teatrale caro alla scena artistica newyorkese degli anni Settanta del secolo scorso.

La Roberts, però, riesce a suo modo ad uscire indenne dai cliché, realizzando un lavoro maturo, dal carattere forte che punta dritto al cuore delle questioni che mette sul tavolo. Coin Coin Chapter Four: Memphis passa da momenti di avanguardia jazz, tinta di un misticismo ancestrale, a sferzate recitative che suonano come rabbiosi sermoni postmoderni. Vibrafoni, metallofoni e suoni della tradizione africana si combinano al sax della Roberts, elegante quanto acido, che con indiscusso carisma genera atmosfere dal sapore Dixieland o conduce l’ascoltatore direttamente nel South Side di Chicago. L’interpretazione vocale della musicista raggiunge il massimo nella ballata in odore di gospel “Her Mighty Waters Run” (un canto dell’anima di un popolo, fuori dalla retorica rituale religiosa), mettendo in mostra tutte le potenzialità tecniche oltre che poetiche di un disco davvero pregevole.

Matana Roberts si aggira per territori molto difficili. Ambisce, come si diceva, alla mescolanza di significati e all’alternanza di linguaggi sin troppo differenti tra loro. In qualche modo rappresenta ella stessa un esperimento, sempre teso tra un bisogno comunicativo forte e un’altrettanto forte vena riflessiva, meditativa. Il suo operato si sviluppa su due piani opposti ma complementari, che la rendono fascinosa e ammaliante: in buona sostanza riesce a coniugare la sua umanità (fragilità comprese) e il suo personale modo espressivo incentrato sull’Azione e sul gesto. Il risultato è un flusso costante e circolare di idee, parole e suoni: non più solo musica, ma espressione pluridisciplinare, gonfia di significati vividi.

Per questo happening di lotta e liberazione la Roberts ha riunito una nuova band: i newyorkesi Hannah Marcus (chitarre, violino, fisarmonica) e il percussionista Ryan Sawyer sono insieme al bassista Montréal Nicolas Caloia e il compositore Montréal-Cairo Sam Shalabi alla chitarra e all’oud, più il prolifico trombonista Steve Swell e il vibrafonista Ryan White come ospiti speciali.