MARK STEWART, The Politics Of Envy

Politics Of Envy

The Politics Of Envy è un disco analogo al nuovo Paul Weller e a tutti quelli di vecchi leoni che non ridefiniscono generi né saranno lasciti storici, ma che garantiscono ai loro autori lo status di “arguti osservatori”, vivacizzandolo con quel qualcosa che, pur potendo a volte annacquarsi, non sparisce mai del tutto: la classe. Già nel 2008 Edit aveva dimostrato quanto Mark avesse ancora da raccontarci; non siamo a quei livelli, così come non è proprio il caso di tirare in ballo il Pop Group, ma The Politics Of Envy è la summa di ciò che a Stewart piace del mondo musicale odierno, rivisto e corretto secondo la sua ottica e riportato così com’è, senza chissà quale mediazione tematica o mentale, con l’aiuto di ospiti e partner scelti – questo sì – in maniera meticolosa: i Factory Floor, Lee Perry, Doug Hart, Daddy G, due insospettabili come Richard Hell e Keith Levene (e il nuovo disco dei P.I.L. è in uscita e presto ne racconteremo su questi schermi), Gina Birtch, Tessa Pollitt e Bobbie Gillespie. Proprio la presenza di Gillespie sembra particolarmente importante, perché, nonostante ogni pezzo si possa considerare una produzione che fa del punk e del dub una cosa sola, ridefinendo in elettronica tutte le “passioni” di Mark (compreso una sorta di dubstep “a modo suo”), a filtrare tutto sembra essere la stessa filosofia che ha reso grandi i Primal Scream, anche se del blues à la Stones di cui è denso ogni disco dei “ragazzi” di Screamadelica qui non c’è traccia. Al suo posto, un coagulo di oscurità addensata in magnetici sguardi umorali, di oscura inventiva e sagace attualità (non solo musicale, considerate “Autonomia”) che rendono il disco prezioso, seppur non indimenticabile né definitivo.

Tracklist

01. Vanity Kills
02. Autonomia
03. Gang War
04. Codex
05. Want
06. Gustav Says
07. Baby Bourgeois
08. Method To The Madness
09. Apocalypse Hotel
10. Letter To Hermione
11. Stereotype