MANA, Asa Nisi Masa
Poco prima della metà di “8½” di Fellini, il protagonista Guido Anselmi (Marcello Mastroianni) partecipa a un gioco di prestigio col quale un mago è in grado di comunicare telepaticamente a una sua assistente i pensieri di un personaggio scelto dal pubblico. Leggendo la mente di Anselmi, l’assistente scrive sulla lavagna la frase enigmatica, e in apparenza priva di senso, “Asa nisi masa”. Nella scena successiva con un flashback si mostra l’infanzia del protagonista, dove la frase veniva usata come formula magica per far muovere gli occhi di un ritratto. Secondo l’interpretazione più diffusa, per quanto mai confermata dallo stesso regista, “Asa nisi masa” significa “Anima” nell’alfabeto serpentino, ovvero ripetendo la lettera, o il gruppo di lettere, ma con l’aggiunta di una “s”: A-sa-NI-si-MA-sa.
Il titolo del secondo album di Mana, uscito a settembre per Hyperdub, non si limita a citare quel film autobiografico riprendendo questa scena, ma rievoca lo stesso clima surreale che lo contraddistingue. In continuità con il primo album Seven Steps Behind e l’ep Creature, Mana sembra accentuare ulteriormente l’allontanamento dalle produzioni a nome Vaghe Stelle. Come affermava in un’intervista uscita per The Quietus, la scelta di firmare i nuovi progetti musicali con Mana, coincisa con il primo ep uscito per Hyperdub, era stata dettata dal bisogno di marcare un allontanamento dai club sounds del progetto precedente. L’impressione è che questo spostamento non si sia limitato ad avere effetti solo dal punto di vista della produzione musicale, ma abbia comportato anche un cambiamento della concezione di corporeità a cui la musica di Mana è rivolta. Il progetto Vaghe Stelle, infatti, per quanto attraversato da beat che destrutturavano le basi dance più classiche, sembrava comunque diretto a delle corporeità e a degli scenari da club. I lavori firmati Mana, diversamente, rinviano invece a dei corpi fluttuanti, sospesi nello spazio.
La caratteristica che lega assieme le tre uscite Hyperdub è la capacità di condividere questa simile immagine di ascoltatore, pur riuscendo ad articolarla ogni volta in modo differente. Mentre in Seven Steps Behind questo spazio incerto, effimero, occupato da corpi sospesi, era spesso connotato da sensazioni ansiogene, in Asa Nisi Masa prende la forma di un collage onirico. Muovendosi tra le tracce è facile, infatti, perdersi in suoni che vengono solo accennati, lasciando l’impressione che l’intento sia proprio quello di creare un insieme aperto di esercizi di riflessione, i cui elementi sono immagini appena appena tratteggiate: “I’m Not Here”, ad esempio, sembra collocarsi, con il suo tono solenne, in una temporalità opposta rispetto ai movimenti non lineari dei beat dance di “Tentacle Daemon”. Paradossalmente, ciò che fa da collante a queste isole di suoni è proprio la velocità con cui esse si susseguono e si biforcano, come se Mana stesse spingendo i propri ascoltatori a non concentrarsi su una singola traccia, o su di un singolo movimento, ma li invitasse a lasciar scorrere, senza pause, il continuo apparire e scomparire di suggestioni musicali. Lo scrittore Daumier, alla fine di “8½”, dice ad Anselmi che il compito di un intellettuale è anche quello di non aggiungere ulteriore inutilità nel mondo, di evitare di apportare “disordine al disordine”: ciò che invece Mana sembra suggerire con Asa Nisi Masa, tramite la sua proliferazione incontrollata di sensazioni e rimandi, è di scivolare tra le pieghe dei sogni lucidi evocati, perdendosi nella loro capacità di contrastare la narrazione claustrofobica che domina la quotidianità.