M.E.S.H., Hesaitix

Pare che a James Whipple in arte M.E.S.H. non vada proprio giù l’interpretazione, data in chiave distopico-apocalittica, delle più recenti tendenze che modellano molta musica elettronica di nuova generazione, ovverosia – per capirci – quella musica che artisti come lui stesso hanno contribuito a portare alla ribalta. In un’intervista concessa un anno esatto fa al giornalista Valerio Mattioli, Whipple affermava perentorio: “Non capisco proprio che intende Harper (Adam, critico musicale e principale teorico della suddetta estetica hi-tech, ndr) con ‘clubbing distopico’. […] Davvero, come si può immaginare che Janus stia promuovendo qualche tipo di macchina alienante? […] C’è della vulnerabilità nella nostra musica. Non è un sistema chiuso”. E poi aggiungeva che esperienze come quella di Janus, il collettivo berlinese di cui fa parte, hanno dirottato spazi e situazioni che fino a poco tempo fa erano dominio di visioni conservatrici e scene incredibilmente retrograde. Cosa c’è di nichilista in tutto questo?”.

Ebbene, il nuovo disco di M.E.S.H. – intitolato Hesaitix e uscito il 10 novembre sulla PAN di Bill Kouligas – suona come una risposta d’istinto alle perplessità di uno come Harper, che una volta diventate di pubblico dominio, quindi in qualche modo private di autorevolezza critica, rischiano di trasformarsi in un’accozzaglia di frasi fatte e letture un po’ troppo arbitrarie.

Quello che colpisce di Hesaitix è anzitutto la produzione di indubbia qualità (mastering a cura di Rashad Becker). Il disco coinvolge sin dal primo ascolto; anzi, deve coinvolgere e lasciare il ricordo di un’esperienza che vorremmo ripetere più volte. Circa metà dei brani, degli undici che compongono la tracklist, insistono su una sensazione di pienezza ritmica già anticipata nell’ep Damaged Merc (2016, sempre su PAN) e lo fanno con un’immediatezza che, di primo acchito, lascia basiti se ad esempio si pensa a quanto fosse incorporeo – come proveniente da una dimensione altra – il debutto Piteous Gate, che invece è uscito nel 2015.

Non è che questo Hesaitix sia un disco squisitamente terrestre, realizza anzi diversi momenti di distensione ambientale nel corso dei quali M.E.S.H. crea dal nulla quei panorami senza natura, decisamenti alieni, che su queste pagine abbiamo associato a tizi come Ssaliva (si ascolti l’iniziale “Nemorum Incola”, una foresta sconquassata spiata in notturna). La novità, piuttosto, si fa viva nella misura in cui all’impressione del dubbio sempre rinnovato (avanzata in Piteous Gate grazie a un inquietante sovraccarico di informazioni e di stimoli) subentra il tiro spedito dato dal succitato accento ritmico, figlio di un approccio che francamente ha poco di cervellotico e che quasi sbeffeggia l’accusa di sterile (e pericoloso, di questi tempi) nichilismo.

Un pezzo come “Mimic”, allora, gioca tra climax e anticlimax. “Loop Trip” si fa coraggio da sola e dal nulla estrae un beat che diventa via via più corposo, tra bassi periferici e una sensazione che ha proprio il sapore di storia e trascorsi urban, in chiave ovviamente UK. I Demdike Stare sono vicini. “Diana Triplex” è praticamente una sorta di techno in retromarcia, mentre “Coercer” si pone sul binario britannico di scuola Houndstooth, tanto che vengono in mente alcune esplorazioni geometriche del duo Akkord. Poi c’è il crescendo ultra-dettagliato di “Search. Reveal.”, delirante rave a colpi di hoover sound e tribalismi di marca Shackleton; un trapano ti si pianta in testa e tagli al raggio laser cercano di fare un solletico mortale. Adrenalina percepita a comfort zero. È convincente la suggestione data in sede di comunicato stampa: “A sound can be both formless and over-rendered, like a boneless but fleshy hand from a life drawing class”.  Curioso e rinfrescante il finale di “Ihnaemiauimx”, che appunto sa di addio, profuma di primavera malinconica e simula accordi di arpa: ha avuto in sogno le Gymnopédies di Erik Satie.

Non fatevelo sfuggire questo nuovo M.E.S.H., se vi interessa tenere gli occhi ben aperti e le orecchie ricettive sul presente (sul futuro?) della musica elettronica, dentro e fuori dal club.