LYDIA LUNCH, 23/11/2013

Lydia Lunch

Bologna, Senza Filtro.

È certo che il Senza Filtro sia una realtà mutaforma in costante crescita, un luogo dedicato all’arte e al sociale di enormi dimensioni che, ancora neonato, riserva di tanto in tanto qualche piacevole sorpresa. Con il compito di risanare un edificio in degrado nella periferia bolognese, questa fantastica location digerisce al suo interno sale labirintiche per tutti i gusti più uno: c’è più di un’area relax, una sala da ballo con apposito bar e prima del concerto mi diverto a giocare con versioni d’antiquariato di pinball, tra l’altro all’interno di un vero museo a loro dedicato. Uno stabile da visitare al di là della funzione di gig venue, insomma. Ed è proprio in questa forma che noto ancora di più la sua mutazione: non troppo tempo fa ci vidi i Niños Du Brasil, e suonarono nell’attuale sala da ballo. Oggi, attraverso una tentacolare composizione di scale e corridoi, entro ed esco dall’edificio, vengo condotto all’interno di un capannone industriale, quasi del tutto spoglio se non per la scultura di una mantide appesa al soffitto e il minimo per ricreare una situazione adatta alla musica dal vivo: stand per il merch, chiosco per la birra e un palco dalle dimensioni di sicuro non ridotte. L’impianto sembra ottimo: due cose che subito saltano all’occhio, e poi all’orecchio, sono l’eccessiva distanza delle transenne dal palco e le casse generali appese troppo in avanti rispetto alla prima fila.

Tempo di guadagnare un posto frontale che non si fa attendere Dalila Kayros. Ci sono grandi aspettative su di lei, in parte per la statura dell’artista cui fa da opening act, in parte per il tipo di c0ncerto che proporrà, una scelta coraggiosa e molto intrigante che la farà essere all’altezza delle dimensioni del palco. Anche se si tratta di un set quasi tutto vocale, la semplicità della strumentazione (un laptop con un controller) non soffoca l’energia del risultato. La struttura si costruisce su loop vocali a volte integrati con delle basi: la linea comune è noir, decadente, malvagia e lega urla distorte a timbri lirici cantati in lingua natale o ispanica. Non si può non pensare a un contatto con Diamanda Galàs, di cui ci trasmette qualcosa, sia come occultamento della voce tra le voci, sia come presenza scenica, quasi pre-esorcismo, anche grazie a luci rosse in mezzo alle quali l’artista sembra bruciare. Un altro passaggio che sembra aver intrapreso è quello della Jarboe di Mahakali e Dark Consort. Il canto di Dalila Kayros – effettato, mescolato, loopato – genera oscurità e lei è una femme fatale che fa marcire l’aria avvelenandoci. Di recente, come ad esempio con Ruins Alone, gli opening act si rivelano più interessanti del main. Si comincia nel migliore dei modi.

Il cambio palco non mi fa restare troppo sulle spine: la lady di ferro No New York si presenta con aria supponente. Un sorriso di sfida contorna le sue labbra cariche di un rossetto che risalta sul viso pallido contrastato dal nero dei capelli e dei vestiti. È una divisa ormai famosa: stivali alti, calze, gonna decorata da paillettes, golf scollato, tutto rigorosamente stile darkwave, farcito di decadenza no wave, s’intende. “Questo è Retrovirus… Retrovirus perché è una retrovisione della musica che ho vissuto e creato”. Così comincia a martellarci il concerto, una summa dei suoi lavori, tracce che segnano i punti focali del suo percorso. Lydia Lunch pesca fra diversi suoi progetti, rivisitati con una formazione promettente come nomi, deludente in concreto. Lei è come me la ricordavo dall’ultimo tour con Big Sexy Noise, forse un po’ dimagrita: rimane grintosa, vivace, elegantemente volgare. Mentre canta, una serie continua di sguardi, gesti e frasi rapisce le anime dei diretti interessati, e alcuni si esaltano. Purtroppo la band, dalla quale ci si aspettava l’inaspettabile, non le sta dietro, non c’è unità e – strano a dirsi, visti i personaggi – Lydia sembra troppo estrema per loro. Algis A. Kizys è un bassista dotato di una tecnica eccellente/sopraffina/esasperata, non per niente ha fatto da turnista per Foetus, ma qui non vedo il nesso, questi pezzi non ne hanno bisogno… a un certo punto Lunch si pone come Miley Cyrus nei confronti degli MTV Music Awards, Kizys ne esce imbarazzato. Bob Bert alla batteria è statico, spesso la regina dell’underground di New York cerca dei punti di contatto, delle interazioni, ma raramente riceve risposta degna. In particolare ero convinto che avrei sentito tre volte il rumore che ha scatenato dal polistrumentista Weasel Walter. Per tutto il concerto, invece, oltre a sputare come un lama, si esibisce in saltelli e piroette da 14enne. In ogni caso la protagonista tira su il morale: le canzoni dei Teenage Jesus vogliono graffiarci e quelle di Big Sexy Noise non vedono l’ora di farci odorare il loro eros, purtroppo la distanza fisica tra noi e la band si rivela troppo marcata anche per lei, l’unica che davvero stabilisce un contatto con il pubblico. È probabile che un concerto del genere in uno spazio più piccolo (o più affollato) avrebbe stupito e stordito i nostri sensi, ma l’eccessivo eco generato dal capannone disperde le canzoni, ci fa arrivare solo una parte della forza demolitrice che la band vorrebbe creare. È a questo che mi riferivo quando parlavo del Senza Filtro come una realtà in continua crescita: i pannelli per attutire il suono ci sono, ma a quanto pare non bastano. Se lo assommiamo alla poca grinta dimostrata dai decantati musicisti, il risultato è la metà di ciò che immaginavo. Dieci e lode alla classe ed eleganza di Lydia e all’affascinante Dalila Kayros. Stasera vincono le donne.

Grazie ad Alex per la foto.