LXV, David Sutton

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Kara-Lis Coverdale, Tim Hecker e ora David Sutton. Storie che si intrecciano, un tema che ritorna: digitale e divino. Ne abbiamo parlato con David, dato che è appena uscito il suo nuovo disco.

Non ho trovato molte notizie biografiche su di te, così suppongo tu non sia interessato a parlare di quest’argomento. Vorrei però solo sapere come hai iniziato con la musica elettronica: i primi dischi comprati, i primi strumenti…

David Sutton (LXV): Probabilmente è stata la tecnologia stessa a farmi interessare alla musica elettronica: l’esperienza, quand’ero più giovane, con le cassette e poi con un computer con software per registrare ed editare, cambiando le velocità, ritagliando suoni e registrando la mia voce, gli oggetti intorno a me, la tv e i film… Mi hanno sempre incuriosito lo sferragliare e il rumore bianco delle registrazioni, le incongruenze di un media registrato in modo differente e l’abilità di documentare dei suoni e poi manipolarli. Tramite mia sorella più grande ho scoperto “porte” come Aphex Twin che potevano aprirsi verso cose più sperimentali, inoltre personalmente da giovane ero molto ispirato dai lavori ambient di Brian Eno. Da lì è sceso tutto giù a valanga.

Vivo in una città italiana molto piccola, per questo sono sempre curioso di sapere in che modo i musicisti americani vivono la loro scena locale, dato che a Filadelfia (la tua città, ma potrebbe essere Chicago o New York) hai tutto: jazz, metal, elettronica… Stai da solo o sei parte di una rete locale di artisti (o club, negozi…)?

C’è di sicuro una rete locale di artisti che si supportano, un gruppo variabile di posti che vengono chiusi e riaperti di continuo. C’è una tonnellata di microcosmi qui come in altre città, anche se io ho l’attenzione per/la volontà di occuparmi di quelli più sperimentali e legati all’elettroacustica.

Avevi altri due progetti: Car Commercials e Current Amnesia. Cosa cerchi di dire con LXV che non puoi dire con Car Commercials e Current Amnesia?

Nessuno di questi due progetti è stato attivo dopo il 2010. LXV è il solo impegno musicale che ho. L’obiettivo è approcciare concettualmente e simbolicamente suoni arrangiati nello spazio. Fino ad ora il percorso è lineare di disco in disco, e Clear ne è una continuazione.

Scrivevo un articolo su Kara-Lis Coverdale e così ho scoperto il tuo lavoro grazie all’album Sirens. Tu e Kara-Lis campionate molto le voci umane. Il modo in cui usate questi campionamenti mi fa vivere quel momento in cui non sto dormendo, ma non sono ancora sveglio. È un momento in cui puoi sentire fantasmi o angeli (o le sirene…) e pensare che siano reali. Prima domanda: che cosa ti ha spinto a usare la voce in questo modo?

Utilizzo la voce umana per personificare certi concetti legati all’esistenzialismo e alla coscienza. Originariamente volevo fratturare la voce umana, separarla dal linguaggio e dal contesto e trasfigurarla, servendomene come simbolo dell’infinito chiacchiericcio di ciò che è sconosciuto e forse dell’inconoscibile, degli aspetti dell’universo al di sotto della realtà dei cinque sensi. L’insegnamento, nella civiltà occidentale, enfatizza molto il pensiero razionale e i concetti della scienza newtoniana. Quando cominci a investigare oltre trovi un mondo di anomalie e domande senza risposta su scopo e origine. Osservare brevemente le cose teorizzate dalla fisica dei giorni nostri suggerisce una condizione di intrappolamento percettivo creata da noi stessi. È importante per me usare la voce umana come un mezzo per portare alla luce cose dietro al velo della razionalità e oltre a quella visione tipo tunnel che ci autoimponiamo; per vedere l’assurdità e il contenuto non familiare di oggetti, persone e posti accettati come veri o reali.

Seconda domanda: tu e Kara-Lis avete trovato un terreno comune nell’uso dei campionamenti vocali? Cos’ha dato la scintilla alla vostra collaborazione?

Ci approcciamo alla voce partendo da luoghi differenti. Per Sirens credo che “abbiamo fatto click” sul mescolare i nostri metodi per appropriarci della voce umana come strumento o suono. A questo punto non sono certo di come la collaborazione sia iniziata. Penso che all’inizio per me fosse il fatto di giustapporre i miei suoni alla strumentazione “classica”. Kara mi aveva contattato attraverso Soundcloud e abbiamo cominciato a scambiarci alcuni file e a mettere le cose insieme.

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Una delle tracce di Clear è intitolata “Apophenia” (per il significato vedi recensione, ndr). Secondo me questa è una descrizione di ciò che può accadere a chi ascolta la tua musica. Che ne pensi?

Assolutamente. È per questo che la traccia ha questo titolo. Per quel pezzo, come in molti altri, ho voluto evitare che ritmo e percussioni fossero la spina dorsale musicale e usare invece l’arrangiamento percussivo come parte di una struttura cubista, come ingranaggi separati in un impianto di produzione, con i loro giri, osservati da punti di vista molteplici e stratificati. Spero che un ascoltatore possa sentire la mia musica in modo differente di volta in volta, che per lui possa essere un catalizzatore per riconoscere strutture sonore, ricordi e idee. Io spero che consideri la mia musica come un agente di riparazione percettiva.

Se ascolto Love Streams di Tim Hecker, dove la Coverdale suona le tastiere, noto che anche lui sta esplorando la voce umana. Non lo ha fatto prima. Pensi che sia stato influenzato da artisti come te e lei? Ed eri influenzato tu da Tim Hecker quando hai cominciato?

Non ne ho davvero idea. Non ho ancora sentito il disco e non so che cosa lo ispiri. Non ritengo di essere direttamente influenzato da lui a differenza di altre persone che similmente lavorano sulla distorsione del tempo musicale e sulla computer music. Alcuni suoi dischi però mi piacciono sul serio.

Stiamo parlando molto di religione, alla fin fine. L’artwork del tuo nuovo disco può essere tutto tranne che religioso, però: strade, tunnel, immagini della periferia (anche le tue foto per la stampa sono molto legate a un immaginario urbano e alle periferie)… Quindi suppongo ci sia un lato del tuo lavoro che abbia corrispondenze con queste immagini…

Ci sono riferimenti a un modo di vedere il mondo in una fase in cui viene meno il realizzare l’esistenza di fenomeni e connessioni legati a una coscienza universale. Clear, a differenza dei miei lavori precedenti a nome LXV, è una rappresentazione delle conseguenze di “un’esperienza spettrale”. Sono sempre stato interessato a casi misteriosi, a esperienze religiose/spirituali che delle persone hanno avuto e che le hanno condotte a certe ideologie e certi costrutti. Clear si confronta con il momento del dubbio, con la perdita di certezze su quanto accaduto. La città assomiglia molto a questo, secondo me. Un luogo di separazione, un posto che crea più domande che risposte. La città stessa, del resto, è spesso usata come allegoria della Torre di Babele nella profondità dell’ippocampo. Nelle immagini dell’artwork, comunque, c’è anche un riferimento alla mortalità e all’arte, specie nella foto tipo natura morta nello stile di Vanitas (natura morta allestita da me e dal mio collaboratore-fotografo Brigid Blue Wallace).

Sono felice di vedere che tu suoni dal vivo negli Stati Uniti. Vedo anche che lo fai spesso in coppia con un progetto chiamato Forest Management. Perché? Sembra che le vostre musiche vadano in direzioni opposte…

Penso che a volte approcciamo idee simili. Credo che le nostre musiche insieme creino una dinamica coinvolgente, con alcuni contrasti esaltanti. Penso che sarebbe un punto di vista controintuitivo sulla curatela il tentare di piazzarci vicino a stili e suoni molto simili ai nostri.

Ti va di parlare un po’ dell’etichetta Anòmia? Ha appena pubblicato Clear. Exoteric Continent (il progetto del curatore di Anòmia) era in tour in Italia pochi giorni fa, ma mi sono perso il suo show… Grazie per aver risposto alle mie domande.

Grazie a te per aver investito del tempo nel farle… Anòmia è qualcosa di molto speciale. Arnau (Exoteric Continent) si è impegnato a pubblicare lavori mediali radicalmente spinti in avanti ed è instancabile nel presentarli nel formato migliore possibile.