LUSTMORD & KARIN PARK, Alter

Non presento più Brian Williams, perché ho potuto intervistarlo per questo sito e credo che quel dialogo basti a tutti per capire chi è. Karin Park è una cantante/musicista svedese molto famosa in Nord Europa e non solo, inoltre suona negli Årabrot, dato non indifferente per noi: mi viene naturale affiancarla alla sua coetanea Karin Dreijer.

Preferisco Brian Williams quando esplora lo spazio esteriore o quello interiore, non quando cerca la collaborazione con una voce femminile, perché il rischio banalità è dietro l’angolo. Alter, alla fine, unisce passato remoto e futuro come Kistvaen, l’ultimo disco di Roly Porter (altro di cui preferisco i viaggi spaziali), e per certi versi gli assomiglia, a partire dai riferimenti alla tradizione delle isole britanniche: secondo me loro due sono imparentati, al netto delle differenze stilistiche.

La copertina di Alter è un meraviglioso pezzo di un dipinto di Jeremy Geddes: quest’artista rappresenta spesso muri che esplodono senza apparente motivo, insieme a creature che potrebbero averli oltrepassati dopo che qualcuno le ha scagliate contro di essi (tipo scene finali di “Blade Runner”). Che cosa significhino queste immagini per lui non si sa, ma credo che sia un modo di mostrare l’effetto devastante dell’irruzione dell’arte e dell’emotività in un contesto quotidiano (questa bambina è in bagno, mentre in “A Perfect Vacuum”, un altro suo quadro, una ragazzina è scagliata attraverso la finestra dentro quella che potrebbe essere la sua camera da letto). Si tratta di una scelta molto appropriata per un album in cui la voce di Park è sempre come una coltellata che taglia il velo antico (o futuro) e soprannaturale delle basse frequenze di Williams. Non esiste un’interpretazione univoca di ciò che sta comunicando Karin. A volte sembra dolore, autentico: quello di Maria ai piedi della Croce, quello cosmico della Natura che assiste alla devastazione che provochiamo o chissà cos’altro di immenso e incontenibile, tanto che una parete può esplodere senza apparente motivo.

"A Perfect Vacuum" di Jeremy Geddes
“A Perfect Vacuum” di Jeremy Geddes

Qualcuno ha scritto che le tracce si assomigliano tutte, ma è qualcuno che non ascolta queste cose: è un modo di scavare diverso nel suono, che può piacere come non piacere, ma che non corrisponde necessariamente a sterilità creativa. Tra l’altro, qui ci sono tante piccole aggiunte allo standard di Lustmord che non sfuggiranno a chi è più abituato a dischi simili. Un elemento di fastidio potrebbe essere rappresentato dal ricorrere di Park a modi di cantare (e cantilenare) “tradizionali”, che ai più perfidi farà pensare a stucchevole world music o alla Lisa Gerrard stanca degli ultimi anni, ma credo che qui ci siano molti episodi tutto tranne che plasticosi o stampati con qualche cliché. Non facciamo i difficili.