LUCA FORCUCCI, De Rerum Natura

De Rerum Natura: Forcucci non avrebbe potuto trovare titolo più appropriato per questi 26 minuti di immersività editi in vinile da LFO Editions. Si potrebbe aggiungere un sottotitolo: “la difficile arte del field recording”. La registrazione “sul campo” è un inesauribile pozzo senza fondo dal quale generazioni di artisti hanno attinto – e continuano ad attingere – le più disparate creature sonore, a volte evocando l’epifania più spiazzante, altre volte con risultati mediocri per non dire disastrosi. Come tutte le mitologiche sorgenti anche questa è un’arma a doppio taglio: la realtà acustica può non essere così facile da decodificare nonostante il massiccio uso degli ultimi ritrovati della tecnica e, spesso, si inciampa nella convinzione un po’ naïve che basti aggiungere la “realtà” a una composizione per renderla automaticamente valida.

Cosa trasforma quindi un field recording in un buon field recording? Domanda destinata a restare senza risposta o a non averne solo una. Il giudizio dipende, in maniera inevitabile, dalle premesse dell’artista: è la fedeltà alla purezza dell’attimo ad essere ricercata? Verranno valutate le tecniche di registrazione, la qualità della stereofonia, la presenza dei dettagli. Viceversa l’obiettivo è lo stravolgimento del reale, l’alterità raggiunta a partire dal quotidiano? Ottimo, i criteri andranno di pari passo, focalizzandosi più sulle sensazioni di straniamento emerse durante l’ascolto e quanto queste siano state efficaci. E così via.

Con Forcucci troviamo un buon equilibrio fra queste due “anime” della pratica sul campo. Da un lato c’è, in primo piano, evidente, quasi sovrabbondante, soverchiante, la foresta pluviale, il mondo acustico per antonomasia (amanti dell’immobilità e del dettaglio, potete interrompere la lettura). Dall’altro, più sottile, appare la manipolazione, l’aggiunta antropica, il sibilo dell’elettricità. È più un’azione interstiziale che sostanziale: il materiale di partenza è talmente denso da attrarre l’intervento umano come un magnete, piegandone le intenzioni, snaturandone le caratteristiche e, finalmente, inglobandolo, trasformandolo da elemento alieno in paesaggio sonoro a tutti gli effetti.

De Rerum Natura, come si diceva all’inizio, non è certo una scelta casuale. Le “cose” che ci circondano e la loro natura acustica, quando cominciamo a concentrarci e a praticare un ascolto “attivo” (per non dire “deep” à la Pauline Oliveros), tendono spesso a sfumare le une nelle altre rendendo difficile separare ciò che è antropico da ciò che non lo è. La domanda dell’artista potrebbe a questo punto essere: “è veramente necessario operare questa distinzione?”. La potenza della foresta pluviale, per quanto inflazionata nell’ambito del field recording, ci strappa con violenza del nostro intorno quotidiano per gettarci in un mondo nuovo, labirintico, la cui ricchezza di stimoli può rapidamente trasformarsi in assenza di punti di riferimento; ed è qui che Forcucci, che ha esplorato i confini fra suono, spazio e percezione, come dimostrano anni di pubblicazioni e uscite discografiche, ci viene incontro e ci indica i punti dove l’ascolto si fa più denso, dove uomo e natura si mescolano in un unico ormai indistinguibile.

Un disco riuscito, ma che rimane ermetico per chi non abbia la voglia di esplorarlo ripetutamente con gli strumenti di navigazione adeguati.