LOW, The Invisible Way

The Invisible Way

Ai migliori si chiede sempre il meglio, ed ecco perché ogni nuova uscita dei Low porta con sé tonnellate di alte aspettative. C’mon era stata l’ennesima, graditissima sorpresa: un lavoro in linea con quanto fatto in passato dal gruppo, ma al contempo spiazzante per quelle sue atmosfere a momenti serene e primaverili, aggettivi che vanno ovviamente limitati e circoscritti all’universo-Low, che tutto è meno che variopinto e accomodante.

Oggi The Invisible Way rimescola di nuovo le carte in tavola: il gruppo di Duluth fa uscire un disco del tutto declinato in chiave acustica. Un disco in cui ci si dimentica dell’elettricità, praticamente quasi assente se non in qualche momento sporadico, e dove si lascia spazio alle chitarre folk, ai pianoforti, alla batteria suonata più con le spazzole che con le bacchette. L’ultima fatica dei Low non eguaglia la bellezza del capitolo precedente e non stupisce, ma riesce comunque a inanellare undici ottime canzoni, alcune delle quali splendide e magiche nelle loro scarne sonorità, nelle atmosfere soffuse e buie, sempre e comunque da ascoltare a luce spenta. Colpisce la solennità del cantato, alle volte accostata a ritmiche che denotano pesantezza e un incedere talvolta marziale. Gli intrecci vocali di Alan Sparhawk e della consorte Mimi Parker non mancano e si fanno via via più intensi: ormai, un marchi di fabbrica, al cento per cento Low.

Dunque, un riuscito disco di slowcore acustico, con gli amplificatori abbassati o staccati, inciso da un gruppo che ancora non se la sente di lasciare a casa l’ispirazione e di dare nuove luci e nuove forme a una loro già collaudatissima idea di forma–canzone. Anche ‘sta volta, commuovono.

Tracklist

01. Pale Green Ghosts
02. Black Belt
03. GMF
04. Vietnam
05. It Doesn’t Matter To Him
06. Why Don’t You Love Me Anymore
07. You Dont Have To
08. Sensitive New Age Guy
09. Ernest Borgnine
10. I Hate This Town
11. Glacier