L’età dell’oro della library – Viaggio nel mondo della Intervallo Records

Il fatto che oggi sia conosciuto prevalentemente come il “fischiatore” di Ennio Morricone non rende affatto il giusto merito ad Alessandro Alessandroni. L’ormai novantunenne musicista originario della Tuscia inizia la propria carriera come chitarrista e in seguito si afferma come versatile polistrumentista (è fra i primi in Italia a cimentarsi con il sitar): ha alternato l’attività di corista (con I 2+2 di Nora Orlandi prima e I Cantori Moderni poi) alla composizione di colonne sonore e di sonorizzazioni, come quelle contenute in Angoscia. Il disco esce per la prima volta nel 1975 per l’etichetta Octopus Records, una delle tante sub-label della Flipper Music: possiamo immaginare quanto nel periodo d’oro della library italiana, fra la fine degli anni Sessanta e tutti i Settanta, fosse ampia la richiesta di musiche da poter abbinare a immagini riguardanti la vita in fabbrica, l’urbanizzazione di massa, il terrorismo. Da lavori di sonorizzazione come questo emerge una spiccata propensione da parte di Alessandroni proprio per i registri drammatici, in particolare per la resa di situazioni di stress emotivo, di frustrazione, di angoscia appunto, correlate ai ritmi della vita moderna e al processo di industrializzazione (altro notevole esempio in questo senso è Industrial, una serie di tracce riesumate lo scorso anno e messe su disco dalla Dead-Cert Home Entertainment, etichetta del giro Finders Keepers). Altra caratteristica delle sue sonorizzazioni, qui evidentissima, è il ruolo comprensibilmente di primo piano riservato alla chitarra: lo strumento viene suonato in maniera poliedrica e spesso insolita, dagli arpeggi assillanti di “Disperazione” alle corde maltrattate in “Frustrazione”.

A rendere meno grigia la quotidianità di quegli anni, in Italia come altrove, erano i reportage sulla vita in fondo al mare: a partire dalle avventure di Jacques Cousteau e dai documentari del nostro Folco Quilici, il genere conobbe grande fortuna e da qui il bisogno di musiche che potessero accompagnare le immagini girate fra cernie e banchi di coralli. La Intervallo propone due raccolte sul tema, uscite originariamente entrambe nel 1973 per una sub-label delle Edizioni Musicali Delfino: contengono tracce sempre di Alessandroni (che qui si firma anche con lo pseudonimo Braen), Amedeo Tommasi (pianista jazz triestino “convertitosi” all’utilizzo del Moog, qui presente anche con lo pseudonimo Atmo) e Franco Tamponi (violinista diviso fra il classicismo e le bizzarrie dei mondo-movie). Entrambi i dischi, Biologia Marina e Ittiologia, sono tutto un gorgogliare di bolle, zeppi di suoni sintetici passati per il delay in modo da delineare con efficacia gli anfratti e le profondità marine, laddove vibrafoni e flauti richiamano invece il fluttuare delle creature che queste stesse profondità abitano, in un’alternanza di episodi di distensione ad altri di pathos, quel mix di emozioni contrastanti che teneva incollati gli spettatori ed ha fatto un po’ la fortuna del genere televisivo.


Tecnologia è uno dei dischi di library maggiormente citati per la sua capacità di precorrere in qualche maniera i tempi, una raccolta di tracce proto-techno/proto-IDM improntate a una visione fredda e pessimistica del progresso tecnologico. A firmarlo è Farlocco, alias del bassista Stefano Torossi (anche se c’è chi, come Valerio Mattioli nel suo Superonda, afferma come in realtà la paternità dell’album sia da attribuire interamente ad Amedeo Tommasi, proprietario della Rotary, l’etichetta per cui il disco esce nel 1974). Attraverso ritmiche spigolose e nevrotiche, disarmonie soffocanti che tendono a ingombrare, a saturare lo spazio sonoro, grazie a synth all’apparenza fuori controllo, Farlocco (o chi per lui) getta uno sguardo impietoso su un presente distopico più o meno immaginario, caratterizzato da un’umanità che vacilla di fronte al potere soverchiante della tecnologia.

Pubblicato (si fa per dire, visto che la diffusione di tutti questi dischi era estremamente limitata) nello stesso anno, per la stessa etichetta, Tensione Dinamica di Narassa, alias di Sandro Brugnolini, sassofonista e consulente musicale per la Rai a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta. Narassa ripercorre le tematiche sviluppate da Farlocco in maniera più sfumata, ariosa, direi più ragionata e meno cruda, fra le incursioni jazz della title-track, i synth atmosferici di “Fantapolitica” e quelli ingenuamente grossolani di “Spleen”.


In La Fatica, disco del 1972, ritroviamo il tema del lavoro – in fabbrica, in officina, in laboratorio – trattato stavolta in maniera quasi scanzonata, attraverso musiche fortemente evocative, ammantate di una patina jazz incline a dissolversi facilmente in favore di originali soluzioni stilistiche. Il disco è firmato da Massimo Catalano, trombettista jazz passato dalla militanza giovanile nei Flippers (assieme a Lucio Dalla e Franco Bracardi) al salotto di “Quelli della Notte”, e da Remigio Ducros, prolifico autore di sonorizzazioni e marito di Daniela Casa, altro nome di culto del panorama library. Attraverso il lavoro ossessivo dei fiati (“Routine”), gli arpeggi di pianoforte insistiti (“Sesto Capannone”, “Catena Di Montaggio Rapido”) o i ritmi meccanici (“La Fatica”, “Compressione”, “Officina Meccanica”), Catalano e Ducros traducono efficacemente in musica la durezza del lavoro ripetitivo, lasciandosi anche andare a divagazioni oniriche (“Esperimento 320”, “Esami Di Laboratorio”) e romantiche (“Terapia Della Fatica”).


Simbolismo Psichedelico è il più vecchio fra i dischi del lotto: uscito nel 1970 per la Deneb (sempre dell’orbita Flipper Music), a firmarlo è Gerardo Iacoucci, tra i fondatori della Scuola di Musica Popolare di Testaccio a Roma ed eccellente pianista free-jazz (la Horo Records gli ha dedicato un volume della mitica raccolta “Jazz A Confronto”). È anche, fra le riedizioni Intervallo, il disco più indecifrabile ed oscuro, forse il più affascinante nel suo tentativo di dare forma sonora a un bad trip in cui il pianista di origini ciociare coniuga l’attitudine da jazzista alle fughe lisergiche e al rumorismo. Sono undici tracce fuori dal tempo e dallo spazio in cui il jazz appunto finisce per destrutturarsi in una materia informe e mutevole, a volte liquida, a volte aeriforme, costruita su suoni più da intuire che da ascoltare.


Chi si celi dietro lo pseudonimo di Peymont è tuttora oggetto di discussione: attivo nei primi anni Settanta, viene comunemente identificato con David H. Kimball, americano trapiantato a Firenze, collaboratore in quegli anni di A. Riccardo Luciani (autore, fra le altre cose, dell’immarcescibile sigla della trasmissione Rai “Almanacco del giorno dopo”). Altre ipotesi, suggestive ma parecchio ingegnose, sono quelle supportate da Intervallo stessa che chiamano in causa il leggendario Piero Umiliani, Luigi Malatesta (famoso per essere l’autore dell’inno della Democrazia Cristiana) o Egisto Macchi (sodale di Franco Evangelisti e Morricone nel Gruppo D’Improvvisazione Nuova Consonanza e nome fra i più ricercati e apprezzati dagli appassionati di sonorizzazioni). Cibernetica, del 1971, è incentrato su una visione futuristica e allo stesso tempo magica della scienza, materia qui portentosa in cui computer e calcolatori elettronici cessano di essere fredde macchine per assumere i connotati di elementi alchemici nelle mani di scienziati-detentori di un sapere raro: più che in un asettico laboratorio siamo nell’antro dello stregone, dove disordine, aritmie, scrosci, rumore onnipresente convivono accanto ai vibrafoni e al pianoforte zompettante. (Angelo Borelli)

Intervista a Stefano Ghittoni (Intervallo Records)

A cura di: Maurizio Inchingoli

Per completare questo speciale abbiamo sentito uno dei tre soci dell’etichetta, Stefano Ghittoni, musicista milanese già nei Peter Sellers And The Hollywood Party, poi nei The Dining Rooms con Cesare Malfatti (dei La Crus). Gli altri due sono Stefano Gilardino e Fabio Carboni (Soundohm, Die Schachtel).

Immagino non sia un caso che il recente interesse per molta musica di area library nasca dal fatto che ai tempi era roba sconosciuta ai più. Vi siete dati una risposta sul perché abbiamo dovuto attendere anche decenni per apprezzare tali uscite? A chi imputate tutto ciò, alle case discografiche, agli stessi musicisti, al mercato?

Stefano Ghittoni: Le dinamiche discografiche a volte non sono molto comprensibili nel loro sviluppo, che avviene anche in modo quasi casuale. A dire il vero tempo fa qualcosa di library era stato ristampato, verso la fine degli anni Novanta, quando ci fu la prima ondata di ristampe di colonne sonore italiane, ma erano brani collegabili quasi interamente all’easy-listening, e infatti quel pubblico era soprattutto un pubblico leggero, quello dell’aperitivo lounge per intendersi. Oggi è tutto un po’ diverso, nonostante ci sia meno mercato discografico in generale, c’è però un pubblico più ampio interessato a queste sonorità. Gente che ascolta rock e post-rock, elettronica, musica sperimentale e che è interessata a suoni non necessariamente easy. Intervallo è in quel segmento lì.

Domanda di rito. Come e perché nasce l’esigenza di pubblicare queste ristampe col nome Intervallo? Mi pare di capire che vogliate portare avanti una vera e propria etichetta di settore, forse esagero nell’interpretazione…

Intervallo nasce dall’idea di tre appassionati di pubblicare dischi che innanzitutto piacciano a noi e che intervengano in quella parte del repertorio (infinito tra l’altro…) della library music che esplora la parte più scura, sperimentale, in alcuni casi addirittura seminale per tanta musica prodotta negli anni seguenti. È uno spettro musicale anche molto ampio, con però un’attitudine comune che unisce le varie uscite del catalogo.

Come scegliete i lavori da pubblicare e che tipo di processo s’innesca dopo aver deciso di stamparli. Parlo di pulitura del suono, le grafiche (diverse rispetto a quelle originali)…

I lavori da pubblicare sono scelti in armonia tra noi , l’idea di cosa pubblicare si sviluppa in vari modi, proposte del singolo e ricerche approfondite, a volte anche con derive proto-casuali, nel senso che stai cercando una cosa e ne trovi un’altra… Abbiamo poi un trattamento standard prima della pubblicazione: i master originali sono rimasterizzati da Giuseppe Ielasi e non usiamo le copertine originali, ma spediamo l’audio del disco a Bruno Stucchi di Dinamomilano (e di Die Schachtel) che lo ascolta e crea un nuovo concept grafico seguendo le sensazioni che il disco gli genera.

So che avete ideato delle serate apposite in un locale di Milano per far conoscere queste musiche. Che tipo di reazioni avete avuto dal pubblico partecipante? Siete soddisfatti anche delle vendite? Noto che alcuni album sono già sold out…

Siamo molto soddisfatti della circuitazione dei nostri dischi, anche delle vendite, soprattutto della credibilità che siamo riusciti a conquistarci in poco tempo. A volte per festeggiare le uscite discografiche (che escono a due per volta) facciamo un party in Santeria Social Club, una cosa molto semplice in cui mixiamo il catalogo di Intervallo con altre library e colonne sonore, soprattutto di film italiani. Una serata come si dice “molto stilosa”.

Avete in serbo altre uscite o vi fermerete a breve? Contate magari di allargare il vostro raggio d’azione o rimarrete concentrati sempre sulla library tout court, senza sconfinare ad esempio nelle colonne sonore?

Abbiamo in serbo altre uscite, due entro la fine del 2016. Al momento la Intervallo pubblicherà solo library, se decidessimo di spostarci su qualche colonna sonora (possibile ma non ancora sicuro…) penso creeremmo un altro marchio per pubblicarle, comunque in armonia con il suono e la filosofia della label madre.