LA MORTE VIENE DALLO SPAZIO, Sky Over Giza

LA MORTE VIENE DALLO SPAZIO, Sky Over Giza

Il black metal spaziale (c’è anche chi lo chiama “cosmic” o “sci-fi”) sta diventando un piccolo trend grazie a varie formazioni sparse per il mondo. Scordatevi le melodie degli Arcturus o dei Samael, perché abbiamo a che fare con qualcosa di davvero marziale, alienante, oscuro, oppressivo e spesso con un muro di suono senza precedenti. Sono pochi i gruppi a essere imprescindibili, perché questo sotto-genere punta tantissimo sulla resa sonora, sulla ricerca dell’atmosfera, su effetti ben mirati, e dunque i soliti quattro riff scarni non bastano: i Darkspace ne sono i maestri indiscussi, gli australiani Mydnight Odyssey, usciti per I, Voidhanger, i pionieri (sono stati i primi a unire black metal e atmosfere à la Tangerine Dream); sempre alternando Australia e Italia, ci sono Mesarthim e Progenie Terrestre Pura, pubblicati da Avantgarde, che già aveva scoperto i Darkspace. Restano ancora i greci Spectral Lore, che si sono mossi con un certo anticipo in questa direzione. Nonostante tutte queste band appartengano a uno stesso mondo, anche un orecchio non allenato saprebbe cogliere le differenze tra di esse.
Complice il fatto che il loro album stava per uscire per Debemur Morti, questi sono stati i miei ragionamenti quando – grazie all’algoritmo di Facebook – sono finito sui La Morte Viene Dallo Spazio. Dopo averli presi in giro fra me e me per la scelta ridondante e opinabile del nome, tipico o delle formazioni progressive-rock italiane o di quelle che vogliono riportare in auge gli anni Settanta, ho deciso di non basarmi su pregiudizi e andarmeli a sentire, così ho capito di aver toppato alla grande sia sul background black metal, sia sul moniker. Segnatevi pure le band che ho elencato poco fa, se non lo conoscete, ma scordatevi di trovare metal da queste parti, tantomeno black (d’altro canto, però, mi pare difficile che questo duo non abbia mai ascoltato quei gruppi).

Ancora nomi di dubbio gusto per i due fondatori, Morte (flauto) e Spazio (chitarra). A loro si sono aggiunte due ragazze (anonime), ad arricchire la formazione con un basso e un moog, fondamentali per approcciare un live. Sky Over Giza, per atmosfere e suoni, richiama gli score dei b-movie anni Settanta e la sigla di “Twilight Zone”: togliete però qualsiasi rimando alla disco-music spaziale o al funk, generi che decenni fa la facevano da padrone in certe pellicole, e dimenticate perfino le ultime incursioni retro-wave e synth-pop.

L’omonima traccia rivela i lunghi fischi dei moog, una voce femminile effettata, diversi cenni di chitarra quasi pulp e i synth senza fine dei Pink Floyd di Ummagumma, More e Meddle su tutti. In questi milanesi si trova ciò che i Calibro 35 non sono riusciti a spostare troppo dal funk-pulp e ciò che gli Ufomammut (tra le altre cose, altre due band italiane!) non sono riusciti a deviare dal concetto di jam session. “Zombies Of The Stratosphere”, grazie alla sua impronta più rock, ricorda abbastanza proprio Urlo e gli altri, ma conserva una struttura e una metrica astratte e intangibili, e il suo andamento giunge comunque a un moderato delirio, fatto di melodie ed effetti sonori vari e mai eccessivi.
In “Sigu Tolo” non mancano effetti e sample che sembrano provenire da cabine di pilotaggio aerospaziali: i sintetizzatori riescono a evocare i panorami interstellari più canonici, imitando alla perfezione Vangelis e – perché no? – anche la lunghissima traccia di Filosofem. Basta poi attendere quattro minuti per finire dentro a un puro pezzo pinkfloydiano, che non stonerebbe in Live At Pompei: una lunga jam session, priva però di quelle improvvisazioni schizofreniche tipiche dell’epoca, condita invece con una lunga e naturale progressione oltre la stratosfera e verso il calmo buio dello spazio, uno sviluppo sonoro delineato dai delay delle chitarre, dal moog, dall’hammond e da una batteria lontana ma costante.
In chiusura c’è la bonus-track “Fever”, uscita precedentemente in digitale, dove i sassofoni prendono le redini del brano per poi lasciarlo alle vibrazioni del moog (che sembra un insieme di chitarre) in maniera quasi naïf, come faceva Richard Wright. Oltre tredici minuti di sonorità che cambiano piano piano e minuziosamente, dalla space-music ai rintocchi più electro fino al drone, regalando tramite le varie trasformazioni una gioia lenta e costante.

Sky Over Giza si conferma come una delle più belle sorprese dell’anno e la mia curiosità d’ora in poi sarà quella di vederli dal vivo.