La malinconia di Lebenswelt

La malinconia di Lebenswelt

Facciamo la conoscenza di un musicista appartato, il campano Giampaolo Loffredo. Chi frequenta queste pagine avrà letto in passato qualcosa a riguardo, ed avrà pure fatto attenzione a un suo coinvolgimento, per la cronaca più emotivo che oggettivo, a Canzoni Tutte Uguali dello spezzino Luca Galuppini/ONQ. I due sono anime affini, hanno in comune il retroterra culturale/musicale, fatto di ascolti di un certo tipo: post-rock, grunge, indie-rock, ce lo conferma lo stesso Loffredo. Dopo una serie di uscite quasi carbonare, era arrivato il momento di dare un po’ di luce a questo talento, ascoltatevi Metaphysics Of Entropy, sono certo troverete conferma di quanto ho scritto. 

Con questa sigla sei arrivato al quinto album e continui a portare avanti un discorso piuttosto appartato in fondo, il tuo è il classico progetto intimista. Come ti vedi rispetto al mercato musicale odierno? È chiaro che usare un termine come “mercato” oggi fa pensare a tante interpretazioni, anche tra loro contraddittorie.

Giampaolo Loffredo: Lebenswelt è un progetto toto genere e toto corde estraneo al mercato musicale odierno e, anzi, a ogni mercato musicale passato, presente e futuro. La sua cifra essenziale può essere, infatti, ricondotta alla naturale tendenza al raccoglimento interiore – se non al vero e proprio nascondimento – e alla sua gratuità. Il primo tratto allontana Lebenswelt dal mercato musicale inteso nella sua dimensione non esclusivamente economica, tenendosi distante da ogni “scena”; il secondo, attraverso scelte distributive improntate al più ostinato understatement, lo allontana dal mercato musicale nella sua dimensione propriamente economica. 

Raccontami dei tuoi ascolti musicali e di come nasce Lebenswelt. 

L’elenco dei miei ascolti musicali potrebbe essere molto lungo e quindi anche molto noioso. Mi limito a tracciare un ristrettissimo novero di ascolti, che esercitano un’influenza notevole sul Lebenswelt-sound: Joy Division, Codeine, Hood, ma anche Velvet Underground, Nick Drake, Robert Wyatt, Leonard Cohen, The Cure, Sonic Youth, Talk Talk, Slint, Nirvana, Disco Inferno, Smog, Red House Painters, The God Machine/Sophia, Bark Psychosis, Rachel’s, Labradford, Low, Black Heart Procession, Current 93, Godspeed You! Black Emperor, ONQ, Mogwai, Crescent, Matt Elliott.

Lebenswelt è nato nell’estate del 2003, con la registrazione progressiva multi-traccia del primo disco Staring At Life In The Rain, ma affonda le sue radici nel mio precedente progetto musicale, Joy Of Grief. Due pezzi originariamente composti per i Joy Of Grief sono confluiti infatti nel primo disco: “Noluntas”, un brano per pianoforte e viola, idealmente concepito come una sorta di colonna sonora di Zerkalo (Lo Specchio) di Andrej Tarkovskij, in particolare come sottofondo alla lettura della poesia Pervye Svidanija – Primi incontri – di Arsenij Tarkovskij, e “Running”, una canzone ancora più vecchia, siamo intorno al 1997, nella quale per la prima volta avevo “costruito” e sperimentato le mie screwdrivers-prepared guitars, che sarebbero poi diventate il marchio di fabbrica del progetto.

Staring At Life In The Rain è, tuttavia, ancora un disco di transizione. Il Lebenswelt-sound si definisce compiutamente tra il 2004 e il 2006, con due dischi di chiara ispirazione hoodiana: “Out Is The Cow” (2004) e “Corners Of A Drowning Faith” (2006). Due brani dal primo ricevono inaspettatamente l’attenzione della Fat Cat Records, mentre un altro finisce in una compilation dell’etichetta olandese AKH Records. “Corners Of A Drowning Faith” porta a compimento il percorso intrapreso in “Out Is The Cow”, screwdrivers-prepared guitars, loop minimali e ricorsivi, lo-fi, computer glitch-like sounds, ambient textures, chitarre riverberate, sad-folk-chord-progressions, ed è arricchito dalla collaborazione con Andrew Richards (Angle, Uniform Motion, Richard Andrews). Poi, come il Vesuvio, il progetto è entrato in uno stato di quiescenza, interrotto dopo dieci anni con due dischi distribuiti dalla Under My Bed Recordings, Shallow Nothingness In Molten Skies (2016) e Metaphysics Of Entropy (2018), ma questa è una storia che sicuramente già conosci… 

Nell’ultimo album ho sentito un più marcato avvicinamento a suoni metallici e freddi, tipici degli anni Ottanta più interessanti secondo me, penso anche a certi Talk Talk ad esempio. Posto che salta subito all’orecchio che Lebenswelt vive e allude con convinzione al miglior “indie-rock” dei Novanta, sono riuscito comunque a fare un buon identikit della tua personalità musicale? 

Hai ragione: è innegabile l’influenza dei Talk Talk. Gli ultimi dischi loro sono davvero straordinari, il mio preferito è l’ultimo, The Laughing Stock. Colgo l’occasione per onorare la memoria del grande Mark Hollis consigliandovi l’ascolto di un pezzo degli Hood, “You Shins Break My Heart”, che è una sorta di rilettura, mediante geniale interpolazione, di quel capolavoro che è “New Grass”.

Non saprei come delineare un identikit della mia personalità musicale, ma è senz’altro vero che faccio una fatica tremenda a uscire dalla bolla indie/slow-core/sad-core/post-rock degli anni Novanta, così come dalla matrice post-punk/new wave degli anni 1977-1983. 

La malinconia di Lebenswelt

Non sono stato l’unico ad usare il termine “malinconia” per la recensione di Metaphysics Of Entropy, era inevitabile… come la vedi tu? Dovremmo trovare un sinonimo meno abusato? 

Credo sia inevitabile. La registrazione dell’album ha avuto un ruolo importante nel processo di elaborazione di un lutto. È stato generato dall’urgenza interiore di tirare fuori di me stati d’animo estremamente dolorosi, nel tentativo di porli innanzi, oggettivarli e farne astrazione, riconducendoli anche all’ambito teoretico. In effetti, nel disco si può riscontrare un nucleo centrale, che attiene alla dimensione particolare della sofferenza vissuta, che viene letteralmente evocata, stricto sensu, anche attraverso la parola, e una cornice esterna costituita dai due brani posti in apertura e in chiusura completamente strumentale, che ne costituisce l’astrazione, il tentativo di una sorta di inquadramento filosofico. 

Come e perché nasce il sodalizio con la Under My Bed Recordings? 

Alla base di quel sodalizio c’è un’affinità profonda con Stefano, che ho conosciuto grazie a ONQ, tanto negli ascolti quanto nella coerenza di ogni scelta connessa al vivere la musica in modo autenticamente anti-commerciale: probabilmente Stefano stesso avrebbe dato una risposta simile alla prima domanda sul rapporto che intercorre tra Lebenswelt, My Dear Killer, la Under My Bed Recordings e il mercato musicale odierno. 

Hai infatti collaborato con Luca Galuppini / ONQ, ne parlavamo un paio di anni fa in occasione della ristampa di Canzoni Tutte Uguali. Come vi siete conosciuti? 

In Irlanda, nell’estate del 1994. A Dublino c’era un ottimo negozio di dischi, che credo esista ancora: Free Bird Records. La sera ascoltavamo gli album che avevamo comprato, per esempio Confusion Is Sex dei Sonic Youth (versione SST Records), Barely Real dei Codeine e Dirt degli Alice In Chains. Ricordo di essere rimasto letteralmente folgorato dall’ascolto, per la prima volta, di pezzi come “She’s In A Bad Mood” dei Sonic Youth e “Realize” dei Codeine. Naturalmente ascoltavamo tantissimo anche i Nirvana, Luca era decisamente più avanti di me negli ascolti. Della band di Cobain, per esempio, conosceva una quantità straordinaria di b-sides e tracce inedite, una cosa rara tenuto conto che erano passati solo tre mesi dal celebre suicidio e il grande sciacallaggio non era ancora avvenuto, per non parlare del fatto che nel 1994 non si era ancora diffuso Internet.

Dal 1994 è iniziata una corrispondenza, per alcuni anni propriamente epistolare, arricchita anche dallo scambio delle nostre produzioni musicali, che non si è mai interrotta. Ho avuto quindi la fortuna di seguire il percorso musicale di ONQ fin dalle origini (dalle registrazioni che precedono Robachefaonco fino alla Musica Riverberata Per Parameci), così come lui ha seguito il mio, dai From The Drain a Lebenswelt, passando per i Joy Of Grief, costretto ad ascoltare letteralmente migliaia di versioni provvisorie dei miei dischi, fornendo un contributo molto importante, tanto per la pars construens quanto per la pars destruens della sua critica, sempre schietta, senza giri di parole.

Sinceramente non penso che nella seconda metà degli anni Novanta, nella scena indie italiana, ci sia stato niente di paragonabile a ONQ, credo che anche lo stesso Luca ne fosse consapevole. Ricordo quando mi fece ascoltare, a casa sua, le registrazioni di So Wan With Care, che sarebbe poi uscito in cassetta per i tipi dell’etichetta tedesca Dhyana Records nel 1999: non era capace di esprimere alcuna falsa modestia, insomma, ma come dargli torto?

Per un primo approccio alla sua musica suggerisco di cominciare con l’ascolto di The Supreme Weight del 2001, forse il disco maggiormente rappresentativo, per autenticità (ancora archetipica) di ispirazione, cura maniacale invero sovrabbondante e sproporzionata rispetto a ciò che la totalità degli ascoltatori è effettivamente in grado di “sentire” e indicibile fatica, prevalentemente solitaria, donde il “peso supremo”. Per i collezionisti, esiste anche una collaborazione Lebenswelt-ONQ precedente: “Frutta”, un pezzo finito nel 2006 in una compilation americana (Vocoid – Creative Commons Compilation).

Lebenswelt è menzionato anche nei credits di ONQ, Canzoni Tutte Uguali, ma in questo caso, come sai già, non si tratta di una collaborazione vera e propria, piuttosto di una sorta di omaggio o saluto all’amico da parte di Luca. 

Hai mai suonato dal vivo come Lebenswelt o questo rimane solo un progetto per disco? 

La dimensione ideale per l’ascolto dei dischi con questo nome è quella del raccoglimento, della solitudine. Non disdegno tuttavia quella dal vivo, sono più che altro costretto a rinunciarvi per ragioni di tempo. L’ultimo concerto risale al 1° marzo 2007 al Teatro Galleria Toledo di Napoli insieme ai Blessed Child Opera e ai Weltraum, grazie all’invito di Marco Stangherlin di Wakeupandream. Un’altra bella data da ricordare è il 25 marzo 2006, all’Auditorium Teatro Giusti di Sant’Elpidio, un live insieme ai Father Murphy nell’ambito del St. Indie Festival. 

Quali artisti/band senti come anime affini in questo periodo? 

My Dear Killer, Morose, Belaqua Shua, Monêtre, Richard Andrews, The Declining Winter. Spero sempre in un improbabile ritorno degli Hood e di ONQ. 

Stai preparando un nuovo album? C’è qualche collaborazione in vista?

Non sto ancora lavorando a un nuovo album, forse perché comincio a sentire il progetto come una sorta di collective, dopo l’esperienza dell’ultimo disco. Anzi, il mio desiderio sarebbe quello di tirare su un vero e proprio collective project con tutti i musicisti che hanno dato il proprio apporto a Metaphysics Of Entropy. Colgo l’occasione per ringraziarli tutti: Pier Giorgio Storti (Belaqua Shua, Morose), Luca Galuppini (ONQ), Stephano Stephanowic (My Dear Killer), Mauro Costagli (Monêtre, The Colours Seen From Behind, ex Lo-fi sucks!), compresa Alessandra Vitelli, che ha realizzato la copertina, secondo me molto bella. Nel frattempo, sto registrando suoni “cacciavitici” per il prossimo disco di My Dear Killer e mi piacerebbe anche proseguire la collaborazione con Pier Giorgio Storti, che ha dato un impulso notevole a Metaphysics Of Entropy, con un tocco degno d’un John Clyde-Evans. Una volta abbiamo pensato di dare luogo anche a un vero e proprio side-project, prevalentemente strumentale, ma è ancora soltanto un’idea. Appena ho qualche notizia al riguardo, sarò lieto di aggiornarti.