KUKANGENDAI, Palm

KUKANGENDAI, Palm

Già protagonisti di un live strabiliante all’apertura della stagione di Area Sismica nel 2016, i Kukangendai tornano con Palm, pubblicato dalla Ideologic Organ. Se nel loro 空間現代2, il disco precedente e il primo a essere intercettato da queste parti, il gioco pareva quello di suonarsi contro,  in una perenne e titanica lotta allo sfinimento che sembrava non risolversi mai, stavolta le carte in tavota cambiano, e non di poco. Tutto nel live davvero incredibile di tre anni fa ci aveva sbalordito perché sembrava al posto sbagliato eppure alla fine risultava assolutamente, maniacalmente esatto: sputi no wave, rimbrotti, sincopi, fibrillazioni, ossessione, autismo, nevrosi, magnetismo, un groove impossibile, completamente sballato e proprio per questo prodigioso, come una sorta di funk schizofrenico paranoico inciso su un supporto graffiato da unghie di orco prima di essere messo nell’impianto. L’estetica glitch suonata però con piglio rock e con un’innocenza e una sfacciataggine e convinzione punk che lasciavano davvero a bocca aperta: come ascoltare dei pazzi, dei geniali dilettanti, letteralmente musica dei (sui) margini e da manicomio, una risposta affilatissima e inaspettata a certe balbuzie di scuola Starfuckers/Sinistri. Al (mi si perdoni l’autocitazione) Fukushima punk, al noise psichiatrico ed all’antirock dello scorso, vertiginoso e straccione giro di giostra della volta scorsa si sostituisce questa volta uno spietato, strabiliante e controllatissimo esercizio sul ritmo, il punto perfetto d’incontro tra Storm & Stress (indimenticabili) e primi Battles (quelli di oggi, e non da oggi, a mio modo di sentire sono assolutamente dimenticabili) di Menomae (come dei King Crimson riduzionisti): la nevrosi infinita da allarme atomico di “Hi-Vision” (un labirinto da cui è difficile uscire, un pezzo semplicemente strepitoso), la fauna del fondo che brulica nella traccia di apertura, “Singou”, i segnali morse da un mondo subacqueo di “Chigaukoto Wo Kangaeyo”, che suonano come degli Slint in volo nello spazio. Pochissimi elementi (chitarra, basso, batteria, tutti e tre ridotti all’osso), capaci, per una qualche indicibile e non svelata alchimia, di spalancare mondi. Sei pezzi facili (?) con i quali Junya Noguchi (voce, poca, e chitarra), Keisuke Koyano (basso) e Hideaki Yamada (batteria) rinnegano il loro passato e si reinventano verso un futuro luminoso, di una strana e sinistra luce nucleare, ma comunque aperto ad ogni possibilità. Sulle macerie si può costruire qualsiasi cosa, no? Avrebbero dovuto aprire anche questa stagione dell’Area Sismica, purtroppo poi la data è saltata: confidiamo possano tornare presto in Italia, la febbre per sentire questi pezzi dal vivo e capire come diavolo fanno a suonarli è già altissima.