KJELD, Ôfstân

KJELD, Ôfstân

Ôfstân è il secondo full length degli olandesi Kjeld, in uscita il 5 marzo 2021 su Heidens Hart.

Un’importante premessa da fare parlando della band è sulla provenienza geografica: la Frisia. Si tratta di una regione storica compresa tra Paesi Bassi e Germania, con una propria lingua, seppur minoritaria, e una spiccata identità culturale, fortemente caratterizzata da influssi nordeuropei. È proprio la lingua frisone quella scelta dal gruppo per rappresentare al meglio la sua proposta musicale: sebbene l’influenza dei grandi classici del black metal norvegese dei primi anni Novanta sia innegabile (tra tutti, gli Immortal di Battles In The North e gli Emperor degli esordi), i Kjeld riescono, in particolare in questo nuovo album, a bilanciare l’aggressività e l’intransigenza tipiche del genere con una componente atmosferica, costante ma mai eccessiva. Ciò che colpisce di più nel loro sound è il ruolo della batteria: accanto ai canonici blast beat furiosi troviamo infatti un uso dello strumento molto creativo, che ne fa, a mio avviso, il protagonista in quasi tutti i brani presenti su Ôfstân. Sulla seconda traccia, “De Lensue Widner”, per esempio, non assolve infatti a una mera funzione ritmica ma, nell’insieme, dialoga sia con le chitarre che col cantato, creando un interessante muro sonoro che ricorda un po’ alcune produzioni della Moonfog dei primi anni 2000. Ottima la resa del basso, spesso penalizzata nel black metal.

Le tematiche dell’album attingono a piene mani dal folklore locale, conferendo tanta epicità all’insieme, senza mai sfociare in quelle derive alquanto discutibili di cui il black metal contemporaneo è tristemente pieno. Il cantato è abbastanza vario, versatile e competente: il frontman sfoggia con disinvoltura uno scream carico di pathos, ma non mancano momenti più melodici in cui si cimenta con un inaspettato timbro baritonale: “Falske Doop” mostra una bella complessità a livello compositivo e, specie nella seconda metà, si evince quanto – come si diceva – la band sappia giocare con ritmiche e atmosfere differenti senza mai “perdere il filo del discorso”. L’insieme è avvolgente e “teatrale” ma al contempo sufficientemente brutale e diretto da non scontentare gli ascoltatori più ortodossi e nostalgici.

In conclusione, Ôfstân è un buon album, pieno di spunti originali che, se adeguatamente coltivati, rappresentano un’ottima base sulla quale i Kjeld possono costruire un proprio marchio di fabbrica, oggi a mio avviso ancora in fase embrionale.