KINK GONG + ATTILA FARAVELLI, 15/9/2018

Marano Lagunare (UD), Riserva Naturale Valle Canal Novo.

Marano Lagunare

Attila Faravelli

Parlare di “Forma – Free Music Impulse” vuol dire raccontare come si organizzano eventi al di fuori dei grandi centri. L’associazione Hybrida di Tarcento è molto brava nel trovare posti dove far suonare le band, adattandoli di volta in volta alla loro nuova funzione di palco. Dunque non ho battuto ciglio quando ho visto Attila Faravelli su di un piccolo “ponticello” di pietra che unisce due lembi di terreno della Riserva Naturale Valle Canal Novo della laguna di Marano, duemila abitanti scarsi, una volta (non so quanto adesso) paese di pescatori. Con Hybrida è normale che vada così. Faravelli, chino a suonare i suoi nastri, era amplificato da due casse ai suoi lati, ma anche da speaker che galleggiavano in acqua. Non si è sostituito allo spettacolo del tramonto e della natura di quel pezzo di Adriatico, ma ci ha suonato insieme, intrecciando suoni registrati da lui e suoni del luogo. A metà strada tra un’installazione e una performance, quanto realizzato da Faravelli rimarrà nella memoria di tutto il pubblico per la bellezza dell’idea.

Kink Gong

L’altro protagonista della giornata è stato Kink Gong, al secolo Laurent Jeanneau, etnomusicologo autodidatta, che ha mostrato due possibili sbocchi del suo lavoro di ricerca: il primo, derivante dai suoi viaggi in Vietnam, Laos, Cambogia, Thailandia e Cina meridionale consisteva in un mixaggio personale (e non del tutto filologico, a naso) di registrazioni della musica appartenente alla tradizione (sovente sconosciuta) dei popoli di quella zona del mondo, suonata dai popoli stessi, e di parti suonate da lui; il secondo corrispondeva al macellare digitalmente le canzoncine pop cinesi di adesso. Quando a essere in mostra è stata la tradizione, nelle teste di chi ascoltava si sono aperti mille collegamenti (a fine performance, ad esempio, Jeanneau ha detto “è in Laos che hanno inventato il minimalismo”), ma non va sottovalutato l’aspetto mantrico e ipnotico della performance, che ha agito sulla mente e sul corpo delle persone senza bisogno di alcuna riflessione culturale su quanto stava uscendo dal Mac del francese. Quando invece Jeanneau ha comincia a prendere a mannaiate qualche ragazza cinese che canta va jingle pubblicitari è stato senza dubbio divertente, ma forse dei due questo è stato lo spezzone del concerto col fiato più corto.

Per completezza: prima della parte muicale, la mattina e il pomeriggio c’erano state la proiezione del documentario “Small Path Music” di David Harris (su ciò che ha fatto Jeanneau in Asia), una conferenza di Kink Gong e un incontro con Attila Favarelli, “The Texture Of The World”. Difficile, del resto, non approfittare della concessione di questi spazi anche per fare dell’approfondimento.

P.S.: fra qualche giorno toccherà a Belfi e Ankubu.