KASSEL JAEGER


François J. Bonnet è compositore, artista visivo, direttore artistico dello storico GRM (Groupe de recherches musicales, fondato da Pierre Schaeffer e dunque luogo di nascita della musique concrète) e per questo curatore della serie Recollection GRM (ideata con Peter Rehberg per ristampare i “classici” passati per l’istituzione francese), oltre che scrittore (si è parlato molto del suo saggio sui modi dell’ascolto “The Order Of Sounds”, questo il titolo della versione inglese pubblicata da Urbanomics).

Con lo pseudonimo di Kassel Jaeger (Kassel è preso dagli scritti del surrealista René Daumal, Jaeger dallo scrittore anarchico norvegese Hans Jaeger, come spiega a Wire di luglio 2017) ha pubblicato una serie di dischi per Editions Mego (uno di questi assieme a Jim O’Rourke), sul cui artwork – come su quello di Recollection GRM – ha lavorato Stephen O’Malley. Sempre di sodalizio con Rehberg si tratta, dunque.

Aster è il suo ultimo lavoro ed è uscito pochi giorni fa: come racconta più avanti nell’intervista, il suo è un tentativo di conservare l’immediatezza e la specialità dei field recordings, ma mettendoci un po’ di sceneggiatura, dunque ecco che al materiale “non raffinato” si affianca un lavoro di basse frequenze e synth che contribuisce a tenere insieme il disco e a conferirgli un’aura notturna e spaziale (basta sentire un brano delicato e ascensionale come la title-track o la sognante “Exposure Scale — Clair de Lune”), per non dire che lo fa flirtare col dark ambient (“Uminari” è una delle cose più terrorizzanti del 2017).

François suonerà il 3 novembre a Udine, presso il Teatro Palamostre, nell’ambito della rassegna “Forma – Free Music Impulse” curata dai nostri amici di Hybrida. Dopo di lui toccherà anche a Ryoji Ikeda. Visto il successo che la pratica ha in Italia, direi che da non perdere, sempre a Udine, è pure il suo seminario “GRM sound transformation and electroacustic composition” (31 ottobre – 2 novembre).

Data la vastità dei suoi interessi e ragionamenti, non potevo perdere l’occasione di farci quattro chiacchiere… 

Kassel Jaeger – foto di Michele Pardo Pauli

Cominciamo dal tuo nuovo disco: Aster. Scegliere stelle e pianeti come titoli di tracce e disco significa optare per un tema ricorrente nella musica elettronica e ambient. Come mai?

François Bonnet (Kassel Jaeger): “Aster” mi è venuto in mente dopo che ho notato che alcuni dei titoli delle tracce erano collegati a corpi celesti, non era un tema generale preconcepito, è proprio apparso… Inoltre era in sintonia con un set di fotografie che avevamo fatto col collettivo nel quale sono coinvolto, Ende Wieder. Sono foto di meteoriti della collezione Museum d’Histoires Naturelles. Alcune di esse mostrano le rocce così come sono, mentre altre le mostrano con qualcuno che le manipola con dei guanti blu. C’è una specie di approccio dialettico tra l’usare materiali grezzi e processati, tra natura esterna e oggettificazione. Ho finito per usare queste foto per l’artwork dato che riassumevano ciò che tentavo di fare coi suoni. Ibridizzarli, ma allo stesso tempo conservarne lo stato grezzo.

“Uminari” (il nome giapponese di quello che in italiano chiamiamo “brontide” e gli inglesi chiamano “skyquakes”, in pratica delle esplosioni la cui sorgente è sconosciuta; letteralmente “uminari” significa “urla dal mare”, ndr) è la traccia più spaventosa di Aster e la mia preferita. Trovare (o creare) suoni sconosciuti può essere un’ossessione per alcuni artisti. Abbiamo molti esempi, e alcuni di questi sono artisti che ho recensito: Lustmord col suo recente Dark Matter, o Pietro Riparbelli, il cui lavoro è basato su suoni inudibili catturati con ricevitori di onde radio corte. Far sì che l’invisibile diventi visibile ha qualcosa ha che fare con la filosofia, o con la magia e lo sciamanesimo, e come logico questi artisti stanno cercando anche di narrarci dei racconti del terrore. Ti consideri un creatore di Uminari, un illusionista?

Per me gli Uminari non sono illusioni, sono dal lato opposto, perché esistono, ma tu non puoi dare un nome a ciò che percepisci. Un’illusione è qualcosa che tu puoi indicare e nominare, ma che non esiste davvero. Quindi non mi definirei un’illusionista. Sono un musicista e nel mio modo di capire la musica questo significa che io cerco sempre di scoprire/rivelare/attivare territori di suono mai sentito.

Come François Bonnet hai un punto di vista complesso su sentire e ascoltare. Come Kassel Jaeger, sai anche come essere “in-your-face” (basse frequenze, rumori, atmosfere oscure), ma alcune idee dietro ai tuoi dischi sono complicate (per esempio “Toxic Cosmopolitanism” e il suo discorso sulla strumentazione etnica). Quanto François influenza Kassel?

Sono la stessa persona, quindi 100%! Ma è vero che nella mia musica tendo a lasciare andare i suoni dove loro vogliono o hanno bisogno di andare. Quindi forse sì, il progetto Kassel Jaeger è influenzato al 50% da François Bonnet e al 50% dai suoni trovati da François Bonnet.

Sto ascoltando un nuovo disco di Mick Harris. Ha inventato il metal estremo, anticipato il dubstep con Scorn, suonato col gotha del jazz. È un punk: niente teoria, niente tecnica. Sei ingegnere del suono e accademico, ma lavori con una indie label: che pensi del mondo do it yourself?

Il GRM è sì un’istituzione, ma quando tu studi la sua storia, puoi trovare la stessa energia del mondo DIY. I primi esponenti del GRM erano audaci, ingegnosi, costruirono una struttura per la ricerca dal nulla… Questo è ciò che mi piace, ancora adesso, in questo campo musicale. Istituzioni o no, ognuno sta facendo del suo meglio per rendere viva questa musica e irradiarla.

Che ci puoi raccontare della tua collaborazione con Stephen O’Malley? Lui cura gli artwork per Recollection GRM e anche alcuni dei tuoi artwork. Appartenete a mondi diversi, ma sembra che lui sia stato capace di creare un ponte nel corso di tutti questi anni, anche musicalmente…

Stephen ha fatto un lavoro spaventoso per Recollection GRM, ha dato davvero un’anima a questa collezione. Per quanto riguarda il design dei miei dischi, abbiamo cominciato a lavorare insieme per Deltas e ha fatto molto bene… Da quella volta io mi appoggio totalmente a lui. Il suo background potrà essere sottilmente diverso dal mio, ma non direi tanto diverso. Stephen ne sa un sacco di avantgarde ed elettronica sperimentale. La sua etichetta Ideologic Organ mostra la varietà dei suoi interessi musicali e artistici.

Oggidì vediamo un sacco di ristampe e pubblicazioni “d’archivio”. Tu e Pita avete appunto creato Recollection GRM. Forse qualcuno vede le vostre uscite come pagine di un libro di storia, forse altri come dischi ancora godibili e freschi, altri ancora forse ci trovano l’ispirazione per i loro lavori… Tu come le vedi?

Le vedo come “classici”. Cosa sarebbe un classico? Una musica ancora rilevante che può essere ascoltata così com’è, non solo per il suo interesse “d’archivio”, e che può ispirare nuove creazioni. Quindi tutto quello che tu hai detto.
Sono senza tempo. E questo è quello che ha visto anche Peter, quando mi ha avvicinato per lanciare questa serie.

Nel corso della seconda metà del secolo scorso l’Italia aveva tanti buoni compositori che avevano a che fare con minimalismo, improvvisazione, prima musica elettronica, library music… Le etichette italiane e i giornalisti italiani li stanno riscoprendo adesso. Considerato il tuo lavoro, ascolti o “studi” compositori italiani del secolo scorso?

Berio, Nono, ovviamente, ma non solo, mi diverto molto ascoltando Motore Immobile di Giusto Pio, Il Museo Selvatico di Maurizio Toniutti, Wind di Gigi Masin, Dialoghi Del Presente di Luciano Cilio, Fetish Pinksha di Maurizio Bianchi, o uno dei miei preferiti di ogni tempo, La Mutazione di Giancarlo Toniutti

Sarai presto in Italia. Cosa dobbiamo aspettarci dal tuo live show? Utilizzi visuals? Hai un particolare setup? Parlerai anche dei “GRM Tools” nel corso di un workshop, giusto?

Sarò a Udine per fare un workshop sulla composizione di musica concreta e, inoltre, presentare i GRM Tools assieme a Emmanuel Favreau (l’ingegnere dietro a questo software). Poi farò un live show con sintetizzatori modulari e field recordings, accompagnato dai visual della regista francese Eléonore Huisse. Non vedo l’ora!