JOHN CARPENTER, Lost Themes II

JOHN CARPENTER, Lost Themes II

Uno dei dischi di cui si è più parlato l’anno scorso è Lost Themes, “l’esordio” inaspettato di John Carpenter del quale ci eravamo occupati con un articolo molto dettagliato. Quel disco aveva lasciato tutti piacevolmente sorpresi sia per la sua particolarità, sia per l’intento dietro a questa operazione (una raccolta di colonne sonore per film immaginari, che sarebbe toccato agli ascoltatori dirigere), oltre che per la vitalità delle sue composizioni.

Chiunque conosca Carpenter e sia andato un po’ a fondo nella sua cinematografia sa come il regista, oltre a essere stato uno dei pochissimi della sua generazione ad essersi cimentato con più generi (regalando un classico immortale a ognuno), si sia occupato anche delle musiche della maggior parte dei suoi lavori, con risultati che hanno contribuito a renderli memorabili. Lost Themes II è, com’è lecito aspettarsi, una consequenziale prosecuzione di quanto detto nel primo volume: un’elettronica dal grande gusto cinematografico, figlia degli anni Settanta ma che dimostra uno stile proprio, che al di là dei rimandi e delle varie influenze risulta fresco e personale. Ci sono episodi di ottima fattura come l’iniziale “Distant Dream”, la gobliniana “White Pulse”, “Windy Death”, “Dark Blues” (ricorda parecchio il tema principale di “Fuga Da New York”, ma rivisto dagli ZZ Top), l’orrorifica “Bela Lugosi” e la drammatica “Utopian Facade”. Pezzi che si ricollegano con quanto Carpenter aveva già detto nelle trame musicali dei suoi film e che ci riportano su territori già percorsi. Siccome però queste tracce non sono state scritte per un film in particolare, hanno un sapore più “astratto”, che fa venire in mente possibili scenari di suoi film mai girati.

Questo secondo volume, pubblicato sempre da Sacred Bones, riesce, come il primo, a essere godibile con pochissime pretese: non sconvolge il futuro dell’elettronica, non aggiunge niente a quanto già detto in precedenza e non contiene pezzi migliori dei temi di “Fuga Da New York”, “Distretto 13” o “Halloween”. È “solo” un album onesto, fatto da un grande regista con una rarissima e spiccata vocazione per la musica, che durante tutta la sua carriera è riuscito a divertirci e a inquietarci sia con le immagini sia coi suoni, e che ora continua a riproporre se stesso senza proiettare nulla sullo schermo, che potrebbe piacere anche a chi di John Carpenter non ha mai visto niente e che si è avvicinato al cinema più volte grazie a uno score. I fan sfegatati ovviamente non se lo devono lasciare sfuggire per nessuna ragione.