JEX THOTH, Blood Moon Rise

Jex Thoth

A cinque anni dal primo full length torna a farsi risentire Jex Thoth, la cantante americana che da qualche anno a questa parte sta facendo parlare di sé in ambito doom/psych. Il fatto che venga notata non desta alcuno stupore: è una delle pochissime voci femminili nel genere, inoltre la sua proposta musicale è tutto tranne che convenzionale. C’è chi la classifica come traditional doom, chi come rock psichedelico, e queste due definizioni dicono entrambe in parte il vero: è un po’ come se i Pentangle, gli eroi del folk britannico di fine Sessanta, di colpo abbandonassero le chitarre acustiche, scoprendo le sonorità più pesanti dei primi Pentagram, arricchendo il tutto con la psichedelia tipica di quegli anni. L’omonimo debutto di Jex Thoth, del 2008, era davvero notevole, molto più orientato sui territori oscuri di Saint Vitus, The Obsessed, e a tratti anche epico, vicino ai Pagan Altar (con i quali aveva condiviso uno split 7” l’anno precedente). Questo nuovo Blood Moon Rise, però, segna un punto di svolta nella sua carriera artistica: se la volta scorsa la componente “bucolica” e quella dei riff potenti erano perfettamente bilanciate, quest’ultima ora sembra messa molto in secondo piano, a favore di un’atmosfera sognante e melliflua, che permane quasi dall’inizio alla fine. Ci sono dei cambiamenti persino nella voce, molto più soffice e leggera rispetto al passato. La tendenza a riproporre quell’hard rock “maledetto” dei Coven c’è sempre, ma in certi punti la vena sperimentale sembra avvicinarsi anche al krautrock. Resta il fatto che Jex Thoth non è così portata per riprodurre atmosfere del genere, e non a caso qui i pezzi migliori sono “The Places You Walk” (apparsa anche nell’ep Circles, sempre di quest’anno) e “The Divide”, con riff facilmente memorizzabili.

A questo giro la cantante americana ha un po’ mancato il bersaglio, calcando troppo la mano laddove precedentemente era stata più cauta. Blood Moon Rise non è un brutto disco, quantomeno ha il grande pregio – in un ambiente ormai saturo di cloni di tutti i gruppi principali – di essere molto personale, poiché, nonostante il revival che c’è in giro, album del genere non se ne sentono. Era però lecito aspettarsi un pochino di più da chi fino ad ora si è fatto valere, dimostrando di meritare il successo ottenuto. Probabilmente, se siete grandi amanti del suo esordio e della sua voce, è difficile che questo secondo tentativo vi deluda, ma in caso contrario potete anche sorvolare e procurarvi direttamente le sue uscite precedenti.

Tracklist

01. To Bury
02. The Places You Walk
03. The Divide
04. Into a Sleep
05. And the River Ran Dry
06. Keep Your Weeds 05:49
07. Ehjä
08. The Four of Us Are Dying
09. Psyar