JASON VAN GULICK

Spesso tra di noi, nella redazione che non abbiamo, abbiamo parlato – anziché di scene locali – di una “scena trasversale”: se esistesse davvero, Jason Van Gulick ne sarebbe sicuramente parte. Nato in Francia, vissuto a lungo in Belgio, è o è stato batterista in vari gruppi (Ed Wood Jr, ad esempio), ha contribuito all’ultimo album di Sum Of R (Reto Mäder), sempre con Sum Of R è andato in tour con gli Aluk Todolo (e li ha chiamati al release show del suo Concrete), ha suonato con Stephen O’Malley, Chris Corsano, N.U. Unruh… Inoltre l’ho visto personalmente dal vivo dieci anni fa con Evangelista, la band che Carla Bozulich aveva messo su per Hello, Voyager. Jason ha poi partecipato nel 2017 alla follia collettiva di casa Radical Matters, intitolata (attingendo a Stockhausen) Luzifers Abschied: per realizzarla si è partiti dal suono ronzante di un basso elettrico, fatto sentire in separata sede ai musicisti coinvolti nel progetto (molti appartenenti mondo dell’improvvisazione: il percussionista Lê Quan Ninh, i due sassofonisti Chessex e Doneda, Kasper T. Toeplitz, Paolo Sanna, ovviamente Jason e infine Lunurumh, chiamato a fare l’Attila Csihar della situazione) affinché ci improvvisassero sopra, ignari l’uno dell’altro. Registi dell’operazione, i Tele.S.Therion. Il risultato, come intuibile, è l’incontro tra Cold Meat Industry, Sunn O))) e – volendo – qualcosa più di ricerca. In pratica, comunque, l’Inferno.

La causa scatenante di quest’intervista è stata il disco Concrete, uscito a marzo 2018 per Consouling e Silken Tofu con un ottimo artwork, aderente alla perfezione al contenuto.

Si tratta alla fin fine di un’idea sui cui Jason lavora da sempre (sentite anche il precedente Entelechy): lo sfruttamento delle caratteristiche architettoniche e del riverbero naturale del luogo di registrazione per espandere il suono della propria batteria (nuda e cruda), non più strumento solo ritmico, ma anche atmosferico. Come si vedrà dall’intervista, questo modus operandi ha – se non una sua tradizione – dei maestri che hanno mostrato la strada da percorrere (tutti starete pensando al grandissimo Z’EV, ma il suo nome non è emerso). Durante l’ascolto, lo stanzone dove si trova Jason si riempie di suono e – per la sua conformazione – lo tiene più a lungo in vita, animandosi a sua volta grazie ad esso, tanto che lo percepiamo imponente e incombente. In alcuni frangenti, poi, cercheremo di capire se stiamo assistendo a qualche rituale, in altri ci chiederemo quanti suoni sia possibile tirare fuori da un piatto (ce lo domandiamo dai tempi di Thomas Köner, è vero) o dalla pelle dei tamburi, ma del resto l’indagine artistica di Jason ha molto a che fare anche con tutto questo. Ultimamente il miglior dark ambient è opera di batteristi: Van Gulick, René Aquarius, Mike Weis… tra l’altro i primi due a occhio e croce sono distanti un’ora di treno… 

Van Gulick, foto di Alain Schumacher

Mi trovo sempre più spesso a incrociare i passi di batteristi che fanno album da soli. Uno di questi è italiano come me, Andrea Belfi, ma potrei nominartene molti altri (Will Guthrie, il tuo amico Eli Keszler, René Aquarius, Mike Weis, Samuel Rohrer…). Quando hai realizzato di poter fare musica senza una band intorno a te?

Jason van Gulick: Penso fosse il 2005. Avevo smesso di studiare in una scuola di musica sedicente “professionale” a Nancy, nel nordest della Francia. Ero infatti molto deluso da quello che insegnavano e mi annoiavo pure! Per trovare una significato a tutto, avevo cominciato a interessarmi a percorsi di batteristi che sviluppavano progetti in solitaria. Questi progetti erano abbastanza lontani dalla mia visione musicale, ma restavano stimolanti. Ma su Solo Drumming, l’album di Fritz Hauser, ci inciampai completamente per caso. Per me fu una rivelazione, per due motivi: il primo è che lui componeva e suonava i pezzi unicamente con percussioni, il secondo era che utilizzava l’architettura e il riverbero naturale del luogo dove registrava. Avendo studiato architettura in passato, ho sentito un legame con questa disciplina ed è stato un punto di partenza fantastico per un progetto che dodici anni è diventato un album: Concrete.

Molti dei batteristi che ho citato prima usano effetti e software per espandere o potenziare il loro strumento principale. È anche il tuo caso? Com’è fatto il tuo set? C’è un video di te che suoni al Festival Propulse Off 2015. Lo possiamo considerare una buona dimostrazione di come lavori oggi?

Quando ho davvero cominciato a mettermici, tra il 2008 e il 2010, anch’io ho cercato di “aumentare” il suono utilizzando microfoni e pedali. Poi ho iniziato a sperimentare un sistema con dei piccoli convertitori collegati a un mixer con riverbero e delay. Questo sistema mi permetteva di trasformare il suono dei miei elementi di batteria e di riprodurre quella sensazione di riverbero e propagazione che cercavo, non importa quale fosse la condizione di partenza.
Sono partito con un kit di batteria classica (due tom, una grancassa, un rullante, dei piatti), poi ho voluto adottare una formula più semplice con solo due piatti, un timpano e altri oggetti che facevo risuonare sulla pelle… questa è la formula di cui tu parli: “Tympani”. Questa versione mi ha permesso di evolvere il mio lavoro nella direzione di una ricerca sonora più profonda, producendo materiale più etereo e più semplice. Sono andato a cercare tutti i suoni che potevo dentro a uno stesso elemento e li ho allungati fino ad arrivare a dei drone percussivi.

Oggi, ed è così dal 2014, non utilizzo l’amplificazione e lavoro in acustico. Cerco ogni volta di utilizzare al massimo le sonorità del luogo e di vedere come il suono delle percussioni interagisce con lo spazio. Per me è diventato molto importante potermi piazzare dove voglio e suonare anche sul pavimento, col pubblico intorno. Mi piace sempre meno trovarmi sulla scena, sonorizzato da dei microfoni, e che il suono provenga dall’impianto. Non è coerente con ciò che io cerco di proporre come concerto.

Hai preso parte a uno dei dischi più strani del 2017, Luzifers Abschied di Tele.S.Therion. Un progetto che ha coinvolto tanti musicisti, anche il percussionista francese Lê Quan Ninh. Tu hai collaborato con lui in passato e sembra anche che lo consideri un’influenza sul tuo lavoro. Perché?

Sono d’accordo con te, Luzifers Abschied è un disco strano! È la cosa più pazza e delirante che ho mai ascoltato e sono molto fiero di avervi partecipato.
Per quanto riguarda Ninh, ho scoperto il suo lavoro tardi, come nel caso di Fritz Hauser, ed è stata una vera rivelazione, che mi ha dato sicurezza sulla direzione che volevo prendere. Ma quello che soprattutto mi interessava era il suo rapporto con l’improvvisazione libera e la musica contemporanea. Sono due discipline che per tanti musicisti sono completamente diverse se non antagoniste. Lui invece riesce a essere molto bravo in entrambe e non si preoccupa di praticarle entrambe e di confrontarle.
L’ho invitato a una residenza artistica a Bruxelles nel 2014, perché avevo ottenuto una borsa per la preparazione di un grosso progetto in solitaria, “Résonance Architecturale”, che è stato il fondamento per la registrazione di Concrete. Noi abbiamo lavorato per una settimana agli Ateliers Claus sulle due discipline di cui ti parlavo e io ho potuto insieme a lui trovare dei percorsi improvvisativi e acquisire delle conoscenze sulla composizione e l’interpretazione di pezzi contemporanei. È molto generoso musicalmente e umanamente. Quando gli ho proposto di venire in Belgio, lui ha accettato facilmente e quella settimana di lavoro è stata molto scorrevole.

La sala utilizzata per il progetto “Résonance Architecturale”

Hai anche suonato con Reto Mäder. Ho scoperto da poco che suoni la batteria in alcune tracce di Orga, il suo ultimo album a nome Sum Of R (il batterista ufficiale dei Sum Of R adesso è Fabio Costa). Penso che Reto sia molto sottovalutato. Si può muovere in mezzo a tanti generi senza perdere le sue peculiarità: metal, industrial, ambient… Che hai imparato da questa collaborazione? 

All’inizio Reto mi ha contattato per lavorare su di una nuova versione live di Sum Of R e andare in tour con gli Aluk Todolo a giugno 2015 (in Europa, per 10 giorni).
Prima di provare insieme di persona per questo tour, e dunque incontrarci, mi ha chiesto dei suoni per lavorare sulla composizione di Orga. Gli ho dato materiale che non avevo utilizzato per Luzifers Abschied e varie sessioni soliste, poi lui ha registrato delle cose più orientate sulla musica che lui aveva in testa. È stato interessante vedere come confrontava e organizzava i suoi missaggi con gli elementi che gli fornivo. La musica che lui ha prodotto è molto atipica e sta all’opposto della formula “live” sulla quale abbiamo lavorato. Mi spiace solo per qualche pezzo che amavo molto e che lui alla fine non ha conservato per la forma finale dell’album.

Hai registrato Concrete nella cosiddetta Halle B, una stanza che appartiene a un posto chiamato La Condition Publique che si trova a Roubaix, vicino Lille. Prima domanda: perché lì? Sembra che lo spazio intorno a te diventi parte delle tue tracce. Seconda domanda: la regione dove vivi supporta la cultura underground? Non mi sembra che noi abbiamo nulla di simile alla Condition Publique qui… 

La Condition Publique ha sede là dove una volta c’era l’industria tessile. Il posto è stato reinventato nel contesto di “Lille 2004 Capitale Culturelle”. Se non ci fosse stato questo progetto, sarebbe rimasto uno dei tanti siti industriali abbandonati della regione e sarebbe finito in rovina. Si trova a Roubaix, una città “banlieue” di Lille che ha una cattiva reputazione ed è tra le più povere della Francia.
La Halle B è stata anzitutto utilizzata per delle mostre. È un luogo gigantesco e ho potuto accedervi più volte tra aprile 2014 e febbraio 2017. Ci ho lavorato e suonato per la prima volta “Résonance Architecturale”, e in molte occasioni l’ho usata per creare e comporre. Conoscevo lo staff, che mi ha aiutato nel corso di quei tre anni, un periodo nel quale è stato molto importante per me sentirmi sostenuto.
Questa sala è immensa e, dato il riverbero che si crea al suo interno, io sono il solo musicista ad averci voluto lavorare. Immagina un triangolo di cemento 70 per 90 per 100 metri, alto 15! Ti dà un riverbero naturale pieno, che va da 8 a 10 secondi… velluto per me. Non ho mai trovato un’altra sala con queste qualità acustiche! Quindi, dopo varie residenze, ho deciso di comporre i pezzi specificatamente dentro e per quel luogo. Ci sono delle parti che non potevano che essere suonate lì e – nel corso delle registrazioni – sono stato io stesso guidato dal suono che si generava a causa del volume.
Come nel caso del mio primo disco Entelechy (Idiosyncratics, 2012), mi sono “installato” per più giorni per registrare e comporre in situ i pezzi di Concrete. Ho fatto tutto da solo (o quasi) in questa fase. Ho avuto la fortuna di far funzionare tutto al primo colpo, anche se le mie conoscenze nel campo della registrazione sono limitate. Dopo di che ho dato il missaggio in mano al mio amico Richard Comte, che di recente ho invitato a suonare a Reims per il release show del disco, mentre il mastering è toccato a Fred Aldstadt dello studio Angstrom: lo conosco per via del mio periodo a Bruxelles e aveva lavorato anche sul mio precedente album.

Per quanto riguarda la tua seconda domanda, dopo il 2004 la città di Lille ha creato e trasformato molti luoghi in regione. Enormi budget sono stati consacrati a questi progetti e si è continuato a costruire per 13 anni strutture culturali, senza però quasi nessun fondo per poterle far anche funzionare nel lungo periodo. Ci sono dunque delle sale per spettacoli vuote, con pochi mezzi per la programmazione, difficilmente accessibili, anche solo per delle residenze. Per me è un’ipocrisia totale. La città comunica il suo sostegno alla cultura “popolare” in generale, ma in realtà non fa alcuno sforzo per aiutare o sviluppare la cultura “underground”. I piccoli luoghi culturali sono ignorati e iniziano a scomparire. Un buon esempio è la Malterie. Questo posto da vent’anni organizza concerti, offre spazi ad artisti e associazioni, ospita i gruppi nel suo seminterrato, ha dei corsi di danza e ha intessuto una rete professionale per sostenere e dare formazione agli artisti! Sono minacciati di sfratto dal proprietario del locale e la città non ha fatto loro credito, né li ha aiutati! La Malterie è la sola sala accessibile con capienza per 100 persone. Se chiude, si gira davvero pagina a Lille per quanto riguarda le attività artistiche.
In generale in Francia c’è un budget abbastanza consistente per la cultura, ma è utilizzato in modo molto convenzionale. La politica del momento, che è quella messa in moto a partire dagli anni Novanta, è chiudere i posti poco redditizi o quelli che fanno troppo rumore.

La Halle B, dov’è nato Concrete

Il tuo nuovo album crea grandi atmosfere. Il suono è profondo e vasto. C’è anche qualcosa di primitivo e ritualistico in esso. Se capisco correttamente, c’è anche un legame con l’improvvisazione musicale. Ci puoi spiegare che ruolo gioca l’improvvisazione nel tuo lavoro? 

Tutta la musica che compongo nasce da sessioni d’improvvisazione. Durante i miei concerti c’è molta libertà, anche se al contempo torno sul materiale sonoro che conosco. Rielaboro ogni volta il suono e lo mando in altre direzioni. Ciò mi permette di adattarmi davvero all’acustica del luogo e fare quello che corrisponde meglio all’ambiente e alle reazioni del pubblico.

Quando registro un album, mi piazzo per più giorni in un posto e improvviso. Subito dopo aver finito una ripresa, la riascolto e vedo quali sue parti sono utilizzabili. Suono di nuovo adattando l’esecuzione, aggiusto i tempi e rifaccio la ripresa fino a che non la “fisso”. Successivamente registro altre parti seguendo lo stesso procedimento allo scopo di completare le precedenti o creare un contrasto. Rilavoro i pezzi durante il mix e, se questo non basta, torno in loco a fare altre riprese. Certi pezzi sono anche lavorati completamente in sede di missaggio, partendo da improvvisazioni che nulla hanno a che vedere le une con le altre.

Una volta hai suonato nella mia città ed io ero lì. Qui c’è una tua foto (il fotografo è un mio amico). Ci eri sembrato molto stanco quella sera. Ti va di condividere con noi qualche tuo ricordo del tuo tour con Carla Bozulich? 

(ride, ndr) Sì, nel veder questa foto, capisco che non avevo l’aria di uno in forma! Fu una lunga tournée: 45 giorni in Europa! Fu abbastanza folle, a ripensarci, e si trattò della mia prima esperienza di quel tipo. Non ho mai più voluto andare in tour così a lungo dopo quella volta. Mi ricordo di quel concerto perché era la prima data italiana. Erano già passate tre settimane da quando mi ero unito al gruppo e loro avevano già fatto un mese negli Stati Uniti… Eravamo tutti un po’ stanchi dopo aver attraversato l’Inghilterra, la Francia, l’Olanda, il Belgio, l’Austria… Quel giorno, subito dopo aver passato la frontiera italiana, il GPS si ruppe. Ci furono dunque problemi a trovare il locale ed emersero tutte le tensioni accumulate fino a quel momento. Mi par di ricordare che Carla fosse malata e che quasi annullammo il concerto! Per farla breve, puoi immaginare il clima all’interno di un gruppo che gira senza mai fermarsi e senza che chi ne fa parte conosca davvero gli altri, anche per via delle nazionalità differenti, oltretutto suonando una musica commovente, cupa e in parte improvvisata, e dovendo dare il massimo ogni sera per il pubblico che è venuto a vederlo…

A marzo ci sarà (c’è già stato dunque, ora che l’intervista è on line, ndr) il release show del tuo disco a Reims. Ospiti speciali: Aluk Todolo. Ancora una volta stiamo parlando di una delle mie band preferite. Cosa senti in comune con loro? Il loro sound ovviamente è scuro e possiede qualcosa di ritualistico. Mi raccontarono che la musica dice loro cosa fare e non viceversa. 

Sì, e li ho anche già invitati in precedenza. Li ho scoperti nel corso del tour coi Sum Of R nel giugno del 2015. Abbiamo imparato a conoscerci durant quei dieci giorni e umanamente è stato un bell’incontro. Dal punto di vista musicale, ho preso gusto ad ascoltarli quasi ogni sera e a vedere come la musica evolvesse a seconda dei locali e del pubblico. Quando sei in giro con un gruppo, puoi stancarti di vederlo tutte le sere, ma con loro era diverso. Non è frequente in questi ambienti che i musicisti lascino spazio per l’improvvisazione all’interno della loro musica! E come nel mio caso, lasciano che la musica s’impadronisca di loro e questo lo senti sul palco. A un dato momento noi non siamo altro che gli “strumenti” della musica che noi produciamo ed è quando lo accettiamo che possiamo davvero creare qualcosa di artisticamente interessante. Gli Aluk Todolo sono poi molto aperti e abbiamo potuto ascoltare cose molto diverse in furgone. E poi, per finire, apprezzo il loro dedicarsi totalmente a ciò che fanno. Hanno tutti un lavoro e una famiglia, ma continuano a suonare ogni volta che possono, sono super-focalizzati e io rispetto davvero tutto questo. 

Ti lascio concludere quest’intervista parlando dei tuoi progetti futuri. Suoni anche in un duo chiamato Ed Wood Jr: ho a casa il vostro The Home Electrical ed è strano sentirti andare così veloce… 

Anzitutto grazie per quest’intervista! È sempre un piacere vedere che la musica che produco oltrepassa le frontiere e tocca posti lontani da dove abito. Per quanto riguarda i miei progetti… sono piuttosto semplici. Torno in Francia dopo nove anni in Belgio. Riprendo dunque i miei punti di riferimento nella mia città natale, Reims, e vedo di capire come vivere di nuovo qui e come continuare a produrre la mia musica. Mi riconcentro sulla mia attività solista e fermo dei progetti che avevo iniziato, più precisamente quello coi Wolvennest di Bruxelles, coi quali ho avuto il piacere di suonare per un anno e mezzo. Comincio a pensare alle prossime creazioni, all’evoluzione della mia pratica artistica e continuo ad assicurare promozione a Concrete, di cui sono fiero, perché è il risultato di un grosso sforzo personale e che mi ha permesso di riunire persone che che amo e rispetto. La copertina, ad esempio, è stata realizzata da Gast Bouschet e Nadine Hilbert, due artisti lussemburghesi che meritano davvero il vostro interesse
Per tornare in argomento progetti, suono effettivamente anche in Ed Wood Jr! La tua riflessione è divertente, perché alla fin fine ho sempre suonato in progetti e gruppi molto diversi e questo contrasto di genere e di sound di batteria è per me del tutto normale. Non ho mai voluto specializzarmi in un unico stile, credo che mi annoierei se lo facessi. Ho bisogno di equilibrio nella musica e nella mia vita in generale. Penso che per un musicista sia essenziale di praticare e nutrirsi anche altrove, non è possibile altrimenti evolvere la propria arte.