IndieRocket Festival 2018

We Are Scientists

Pescara, Parco di Cocco.

Quest’anno la lineup dell’IRF è particolarmente interessante, sarà perché è il quindicesimo anniversario o perché, si dice, potrebbe essere l’ultima edizione.
Bellrays, We Are Scientists, Rival Consoles e Dirtmusic sono i nomi che meglio conosco, ma ce ne sono anche altri che mi incuriosiscono non poco. Tre giorni tra rock, elettronica e world music; sicuramente non ci si romperà le palle!

Nelle ultime tre edizioni sono mancato per una serie di motivi indipendenti dalla mia volontà, ma ora sono pronto e anche piuttosto carico, quindi prendo la macchina e vado anche se da solo.

Venerdì 29 giugno

Arrivo in ritardo (la cialtronaggine prima di tutto, che cazzo!) giusto il tempo di sentire l’ultimo pezzo dei Phoenician Drive e vederli salutare l’audience. Nel breve lasso di tempo necessario al cambio palco, mentre tento di raggiungere il tendone piantato sulla collinetta (situata dall’altra parte del parco rispetto al main stage e dove, tra un concerto e l’altro, si cimenteranno dj e artisti vari) mi imbatto in un numero spropositato di amici e conoscenti pronti a far festa. La serata promette bene. Sono di Pescara e quindi gioco in casa, ma il clima è davvero spensierato e festaiolo. Chi si sistema sotto al palco in attesa del prossimo concerto, chi si sdraia sul prato e chi lotta al bar per spegnere la sete con una birra.

Ecco i Bellrays. I quattro californiani suonano il loro garage-soul-punk senza risparmiarsi, forse appaiono un po’ sotto tono, ma fa molto caldo e loro stanno sudando le proverbiali sette camicie. Il live rispecchia le aspettative (alte, almeno le mie) e il pubblico sembra decisamente divertito.

Altro cambio palco e sulla collinetta si esibiscono i Ramillete Blonda, duo di artisti locali attivi in vari progetti da almeno 20 anni. Arraffo una birra al bar e vado a sentire il loro elettro-pop ironico.

Passa meno di un’ora ed è il turno di Ron Gallo, sul quale l’organizzazione ha puntato parecchio in virtù delle molte attenzioni che il cantante-chitarrista di Philadelphia è riuscito ad attirare ultimamente. “È il nuovo Jack White”, dicono in molti, ma secondo me, tutto sommato, sembra rifarsi molto più agli Stones.

Terminata l’esibizione, tra il pubblico è già tempo di resoconti. Il bello dell’incontrare un sacco di gente si riflette in un costante ping-pong di pareri e feedback su quello che accade durante l’IndieRocket, dai concerti, ai dj set, allo street-food reperibile nell’area festival… e non mancano ovviamente neanche i consueti polemiconi.

Mentre dei Phoenician Drive mi parlano solo in pochi, anche se in maniera entusiasta, il confronto tra Bellrays e Ron Gallo è l’oggetto principale dei primi discorsi tra una birra e l’atra, anche se mancano ancora all’appello i We Are Scientists, ultimo live in programma per la serata.  Fin qui sembra che i Bellrays abbiano riscosso maggior interesse rispetto a Ron Gallo, e un paio di commenti che ho potuto raccogliere sono memorabili! Il primo, arriva da un addetto ai lavori: “Di Gallo si è detto tanto che è il nuovo Jack White, ma in confronto ai Bellrays è sembrato Drupi!”. Sto continuando a riderci su anche mentre scrivo. Il secondo, giunto invece da un barman: “Ron Gallo m’è piaciuto tantissimo, mentre quelli prima non si capiva cosa cazzo stessero facendo”. In assoluto il peggior commento sui Bellrays, lapidario per giunta, tanto da non essere riuscito a replicare in alcun modo, nonostante ci fossero argomentazioni sufficienti per poterlo fare.

Intanto salgono sul palco i We Are Scientists. Suonano il loro indie con la sicurezza e la competenza di una band dall’esperienza ventennale (come di fatto sono) e da questo punto di vista appaiono una tacca sopra gli altri gruppi. Alcuni amici, più tardi, mi racconteranno che si sono dimostrati anche tra i più simpatici e disponibili.

A fine concerto si riaccendono i confronti che, a questo punto costituiscono un primo bilancio ufficiale.

Faccio un salto a vedere cosa succede nel backstage, e quindi, mi appropinquo verso la collinetta ed inizio a scambiare due chiacchiere con amici e sconosciuti. I We Are Scientists sono stati particolarmente apprezzati dal pubblico femminile, mentre quello maschile si è diviso tra Bellrays e Ron Gallo, con quest’ultimo che, stando alle notizie dagli addetti ai lavori, è stato accolto al suo arrivo da uno stuolo di giovani ragazze a caccia di autografi.

La prima serata, quella Rock, si è conclusa. Alle 4 AM tiro i remi in barca, domani ci aspetta una line-up prettamente Elettronica e toccherà rimboccarsi le maniche.

Sabato 30 giugno

Questa volta arrivo in perfetto orario, della serie: mostro il pass all’ingresso e, appena dentro, attaccano a suonare gli AK/DK. Sono le 21.

Questo primo gruppo è, per me, una novità assoluta, mai sentiti prima d’ora. Si tratta di un duo. Sul palco ci sono due batterie, una per componente, con le quali gli AK/DK si cimentano mentre si sbizzarriscono anche con synth, campionatori ed effetti vari. Mi fanno pensare agli Apollo 440 sebbene il genere sia differente. Divertenti.

Come nella serata precedente, a fine concerto, mi sposto dal main stage alla collinetta, dove, sotto la tenda, si esibiscono i Cristalli Liquidi che, secondo una partecipante al festival, “sembrano Alberto Camerini mollato dalla fidanzata”. Bravi nel loro mestiere, ma esponenti di un genere in cui mi sembra che la creatività sia stata in buona parte rimpiazzata dall’arte del riciclare… che è pur sempre un’arte, io, però mi trovo d’accordo con il precedente commento.

La sete inizia a farsi sentire, perciò faccio tappa al bar ancor prima che vengano ultimati i preparativi per i Benin City, trio londinese di cui, come per gli AK/DK, mi appresto a fare la prima conoscenza. Di loro si dicono cose positive. Definiti come nuovi, eccitanti, freschi, la loro mi sembra in realtà un’operazione di 90’s revival e impiegano un po’ prima di scrollarsi di dosso la prima impressione di cosa un po’ noiosa. Infatti, pezzo dopo pezzo, i tre sembrano sempre più divertire e divertirsi, riuscendo a contagiarmi con la loro energia positiva.

Altro cambio palco, altro spostamento alla collinetta ed altra birra. Sotto la tenda c’è Delay In The Universal Loop, un giovanissimo performer campano dedito a quella che definirei chaos-tronica: un mischione di generi disparati tenuti insieme da drum machine, sampler e ammennicoli vari. Anche se ancora in evidente fase di maturazione stilistica, la sua proposta incuriosisce molti ed il suo talento riesce comunque trapelare. Prendetevi un appunto perché al nostro amico le potenzialità non mancano.

A seguito di una breve pausa, dall’altra parte giungono le primissime note dei Re-Tros, trio pechinese. Mi muovo verso il main stage, dove il primo pezzo mi lascia un po’ perplesso. Immediatamente dopo la band inizia a fare sfoggio di tutte le sue qualità, sfoderando un sound quadrato e spigoloso, un po’ industrial, un po’ berlinese, intervallando la scaletta con due pezzi smooth di incredibile classe. Tanta roba! Scoprirò solo più tardi che, oltre ad avere aperto un intero tour dei Depeche Mode, sono anche la prima band cinese ad aver ottenuto il visto per suonare al di fuori dei confini nazionali. Gran bel concerto.

A questo giro, rimango in attesa del prossimo act in programma al main stage direttamente al bancone del bar, tra birre e chiacchiere con un po’ di gente. Anche oggi lo scambio di pareri e impressioni tra il pubblico sembra piuttosto fervido: particolarmente apprezzati gli AK/DK, mentre i Re-Tros sono rimasti un po’ indigesti a molti.

Sale in cattedra Rival Consoles e la maggioranza delle persone si addensa sotto al main stage.  Il set del producer di base a Londra mette immediatamente d’accordo tutti, ma proprio tutti: rockers superstiti della prima serata, clubbers giunti proprio per l’occasione, gente presente per semplice curiosità o per puro caso, e anche membri di alcuni gruppi visti suonare precedentemente. Suoni cupi e profondi, sparati a volumi in grado di spostare senza fatica un’intera mandria di bisonti. Performance di altissima intensità. Per dirla in altri termini: Rival Consoles sta all’elettronica come i Corrosion Of Conformity stanno allo stoner-sludge. Sarà l’esibizione più apprezzata nell’arco delle prime due serate.

Domenica 1 luglio

Kokoko!

Oggi si inizia dal tardo pomeriggio con i dj set sulla collinetta. Mi aggiro incuriosito per scoprire cosa offre il festival al di fuori della fascia oraria dedicata ai concerti. Ci sono le immancabili bancarelle di vinili e t-shirt, gli stand gastronomici che riescono facilmente ad attirarmi, c’è un happening in cui alcuni artisti sono impegnati a realizzare lavori in diverse discipline che in qualche modo parlano dell’IRF, ma soprattutto c’è una band di teenager che, nel bel mezzo del parco, suona delle cover metal con una strumentazione minimale. Sembrano un branco di cani randagi che si divertono a rotolarsi ed a rincorrersi. Con il sorriso sulle labbra mi fermo a guardarli per un po’, e mentre parte la cover di “Walk” dei Pantera, inizio a realizzare che si tratta di un progetto-laboratorio per giovani musicisti. Poco più in là, la selezione di musica africana proveniente dalla collinetta, introduce il tema principale di quest’ultima serata dell’IRF che sarà all’insegna della World Music.

Ad aprire i live ci sono i Dirtmusic, creatura dell’ex Bad Seeds Hugo Race e di Chris Eckman dei Walkabouts. Durante il concerto si autodefiniranno bordercrossing, ma, già a pochi minuti dal loro ingresso sul palco, per tutti sarà chiaro che si tratta molto semplicemente di superfrekkettonismopsichedelicdesertrock.

Poco dopo, mentre sotto la tenda della collinetta continuano i dj set, il main stage è pronto per DJ Khalab, al secolo Raffaele Costantino. Sarà che l’acronimo DJ richiama, spesso a prescindere dal genere, un numero congruo di clubbers ed (ex)ravers, comunque, un discreto numero di persone si raduna sotto al palco in evidente attesa che la cassa li pettini a dovere. Non appena Khalab inizia a scatenarsi sulla console, però, sono in molti a rimanere interdetti. La prima parte del suo set è, infatti, totalmente incentrata su sonorità e ritmi etnici radicali, e bisognerà attendere metà show prima che la cassa in quattro si manifesti a cospetto dei suoi sudditi.

Nello svolgimento dei preparativi per i Kokoko! dedico un po’ di tempo agli stand gastronomici e al bar. Placate fame e sete adeguatamente, mi dirigo verso il palco principale. Appena in zona sento un grido di richiamo ripetersi più volte. Lo stage è ancora vuoto ed il pubblico si guarda intorno cercando di individuarne la provenienza. D’un tratto, scorgo un tizio in tuta gialla muoversi dal mixer verso il palco, con un microfono in mano. È lui che chiama alla raccolta ripetendo una specie di slogan. Inizia così, quasi a sorpresa, il concerto dei Kokoko!, fautori di musica africana rivista in chiave marcatamente elettronica, ed eseguita con strumenti sia convenzionali che non: lasceranno il segno in questa edizione dell’IRF con un mix esplosivo di ritmi ed energia che travolgerà e coinvolgerà tutti gli astanti.

Archiviato quest’ultimo concerto, sembra non ci sia più spazio per altre cose. Invece, sulla quasi dimenticata collinetta, c’è Africaine 808 che si prepara per stendere tutti come d’obbligo per un Gran Finale. Il duo berlinese in questione, che prende nome dall’idea di rielaborare ritmi tradizionali africani  (anche loro!) con una Roland 808 (drum machine molto in voga negli anni ‘80 e ‘90) e i suoi groove contagiosi ed irresistibili, attira l’intero pubblico dell’IRF nei pressi del tendone come biglie di ferro all’interno di un campo magnetico. Il mio act preferito di quest’ultima serata.

Fine del Festival per quasi tutti tranne che per me e per Paolo Visci, direttore Patron dell’evento, con il quale m’incontro un paio di giorni più tardi per scambiare due chiacchiere.

Allora, quali sono i tuoi live preferiti di questa edizione e perché?

Paolo Visci: Per quanto riguarda il primo giorno, dico Phoenician Drive perché mi è piaciuto molto il modo in cui hanno miscelato la psichedelia con sonorità merdiorientali e world in generale. Gli altri gruppi, comunque, hanno dimostrato di essere tutti dei grandi professionisti.

Scelta assai difficile, invece, per la seconda serata. Quelle di Re-Tros e Rival Consoles sono state due esibizioni potentissime e di grande impatto, ma da entrambi i gruppi mi aspettavo un livello molto alto e quindi diciamo che non mi hanno sorpreso più di tanto, come, invece, mi hanno colpito i Benin City, i quali, nonostante una formazione piuttosto scarna e dei balletti un po’ naif, sono riusciti a comunicare molto di più di quanto m’aspettassi. Una bella sorpresa.

Per la domenica dico Kokoko! che come al solito mi hanno lasciato addosso una bellissima sensazione; gli africani riescono ad essere creativi ed innovativi senza neanche porsi il problema, viene loro naturale. È stato un ottimo concerto finale per il festival.

E se dovessi scegliere quale, tra le tre giornate, vorresti rivivere?

Tra sabato e domenica sarebbe una scelta difficile. Forse un po’ più la domenica, però siamo lì perché entrambe le serate sono state molto belle per me.

Restiamo sui Kokoko! sull’innata capacità di innovare e creare. Non pensi che, forse, per noi occidentali abituati a forme ormai canoniche di rock, pop, jazz… ciò che proviene dall’Africa, come tutto ciò che diverge da certi standard, ci suona fresco e nuovo proprio perché non ricade a pieno nella nostra routine d’ascolto, anche se ciò che ci viene proposto deriva direttamente da un repertorio etnico tradizionale? A parti invertite gli Africani potrebbero fare considerazioni simili alle nostre.

Penso sia possibile che cambiando prospettiva d’osservazione si possa giungere a sensazioni e conclusioni simili. Però penso anche che l’istintività nell’approccio al ritmo ed alla performance sia molto differente tra occidentali ed africani. Dovremmo chiederlo a loro, ma immagino che per ogni continente potremmo ottenere milioni di risposte diverse.

Domenica pomeriggio ho avuto modo di notare diversi artisti cimentarsi in varie forme di arti visive.

Sì, in continuità con delle iniziative simili già sperimentate nella precedente edizione dell’IRF, quest’anno abbiamo chiamato diversi artisti italiani per fargli vedere il festival e farli interagire con esso. Per noi è importante che la musica non sia l’unica forma espressiva all’interno del festival e per questo cerchiamo di dare spazio anche ad altre forme d’arte. Ci sono stati anche dei laboratori musicali per giovanissimi, seminari e meeting di thai-chi e yoga, street-artist che hanno continuato l’opera di abbellimento delle mura interne al parco. Cerchiamo di fare esprimere il festival a 360° in base alle risorse che abbiamo a disposizione di anno in anno.

Questa è stata la quindicesima edizione dell’IRF, che è cresciuto tantissimo dagli inizi. Come viene vissuto, secondo te, l’evento in città? Noti differenze tra il pubblico pescarese e chi, invece, viene da fuori, considerando anche addetti ai lavori come roadie, tecnici del suono (…)?

Dividendo il pubblico in due gruppi di provenienza geografica, direi che tra locali (Pescara e provincia) e chi viene da fuori (Abruzzo e resto d’Italia), i primi vivono l’evento con normalità e un po’ di distrazione, percependolo forse come un happening cittadino che si ripete periodicamente, mentre gli altri sono probabilmente più coinvolti musicalmente venendo al festival appositamente per vedere i gruppi. Questo non vuol dire che, negli anni, non si sia consolidata una fan base locale; il festival ormai è diventato un riferimento culturale sia per la città che per la Regione. Non fare il festival per molti significherebbe una grave mancanza nella proposta musicale regionale. Quelli che vengono apposta per l’IRF sono coloro che tengono in vita l’evento. Un’altra cosa molto bella che ho notato è che negli ultimi anni si è molto abbassata l’età media tra il pubblico, ed in un momento in cui i giovanissimi vengono descritti dai media come un pubblico interessato prevalentemente da sonorità mainstream tipo trap, questa mi sembra davvero una cosa molto positiva per il festival e per il suo futuro.

Quello del festival è ormai diventato il principale formato di manifestazione musicale e sembra essere in continua crescita. Quali sono le tue considerazioni a riguardo?

È interessante notare che nonostante ci sia un numero importante di realtà impegnate a realizzare eventi di questo tipo. Al contorno, purtroppo, c’è carenza di supporto economico e burocratico da parte delle autorità locali e nazionali che crea numerose difficoltà per tenere in vita e dare continuità a questo tipo di eventi. Da un punto di vista più generico penso che sia un’onda che da Woodstock in poi non si è mai fermata. L’estate chiama e i festival, che ormai ci sono anche d’inverno, rispondono. È un dato di fatto che, nonostante l’accelerazione imposta dai mezzi di comunicazione attuali e dai social network, la gente ha ancora voglia di emozioni che scaturiscano da un input reale e concreto, non virtuale. La musica è uno dei mezzi espressivi che da sempre utilizziamo per comunicare, fare aggregazione ed interagire; l’uomo ha bisogno di queste cose un po’ come dormire e mangiare, non può farne a meno, per cui il festival è il posto migliore per mettere insieme tutte queste esigenze con la musica.

Delusioni e perplessità, anche non musicali, venute fuori in questi tre giorni?

Nessuna. Sono stati talmente tanti gli stimoli positivi giunti da tutti quelli che hanno partecipato e collaborato al festival da aver surclassato ogni possibile fattore negativo. Sicuramente ci piacerebbe avere una relazione un po’ più forte con le istituzioni regionali, e mi dispiace che, nonostante il supporto valido e deciso da parte dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Pescara, non ci sia stato alcun coordinamento con altri eventi dentro e fuori città. L’unica amarezza sta quindi nella difficoltà che s’incontra regolarmente in fase di programmazione sia all’interno delle istituzioni pubbliche, sia tra gli eventi che si esprimono sul territorio abruzzese.

Riguardo al music business, dopo il tracollo di fine anni Novanta subìto dall’industria discografica, adesso sembrerebbe esserci una ripresa, con il vinile resuscitato che pare trascinare il mercato discografico. Come vedi, in questo dopo crisi, lo stato di salute dei festival? La mia sensazione è che mentre le vendite discografiche pativano gravi perdite, i live ed i festival hanno fatto registrare un considerevole incremento, che mi sembra una risposta importante venuta dall’interno dell’industria musicale, senza oltretutto dimenticare che, dal mio punto di vista, il palco è l’habitat naturale di una band.

Io sono d’accordissimo. Se il mercato discografico ha avuto una pesante battuta d’arresto, la stessa sorte non è capitata agli eventi live. Anche se al pubblico viene a mancare il feticismo del supporto fisico, comunque la musica continua ad arrivare ovunque, vuoi per radio, in streaming o tramite altri canali; alla fine, però, deve esprimersi sotto forma di live, dj set, performance… e ciò non può essere cambiato con le nuove tecnologie. D’altro canto, le case discografiche, avendo perso l’appeal che nel pre-crisi sicuramente esercitavano sulla vendita dei dischi, hanno oggi un atteggiamento diverso nei confronti della promozione e diffusione dei propri prodotti, visto che in qualche modo devono fare cassa. Di conseguenza mi sembra ci sia avvenuta una sorta di edulcorazione per quanto riguarda alcuni eventi, i quali, pur rivendicando da sempre un’identità indipendente, oggi, a differenza di ieri, propongono line-up che sembrano fotocopiate, rispecchiando perciò le logiche del mainstream. Oltre a ciò, vedo si una rinascita significativa del vinile, ma essendo perlopiù spinta da collezionisti e feticisti, non si traduce in un aumento del pubblico ai concerti. Insomma, siamo in continua evoluzione, la crisi del settore discografico, forse, non è ancora finita, e sarà interessante vedere quale piega prenderà la situazione nei prossimi anni.

Guardando le quindici edizioni dell’IRF, cosa prenderesti, da ognuna di loro, per creare il festival perfetto?

Per fare una line-up perfetta farei una selezione delle band che fino ad oggi si sono esibite nell’arco delle varie edizioni.

Allora, facciamo un gioco: tra tutte le band che hanno suonato, scegli tre nomi che facciano da headliner.

Difficile sceglierne solo tre! Mi piacerebbe riportare sicuramente alcuni nomi; ad esempio sarebbe bellissimo poter riavere un anno si ed uno no i Red Krayola, rivedrei volentieri live super intensi come quello degli zZz, oppure, anche gli Archie Bronson Outfit presenti nella terza edizione, un live incredibile con Duke Garwood al sax, sono contento di aver fatto Josh T. Pearson in tempi non sospetti… mi piacerebbe riproporre parecchie cose come vedi, e mi dispiace di non essere riuscito a portare gruppi tipo Man Or Astro-man?. Dal punto di vista organizzativo, mi piacerebbe riuscire a lavorare più in anticipo su alcune cose, al contempo, però, credo che una location bella come il Parco Di Cocco, dove il festival ha avuto luogo nelle ultime quattro edizioni, sia perfetta per varie ragioni, ed lì che punteremo a replicare l’evento nei prossimi anni. Anche per quanto concerne i volontari lascerei tutto com’è; abbiamo un gruppo di tantissimi ragazzi e ragazze che si fanno un gran mazzo per realizzare il festival, ed anche questo è un aspetto che, negli anni, è cresciuto tantissimo. Strada facendo ci sono state delle amarezze, ma sono cose che appartengono al passato ed ormai sono superate.

A questo punto, allora, mi tocca sfoderare la domandona finale! Continuità di crescita, tante esperienze positive, concerti da incorniciare, parecchie difficolta superate e qualcuna, comunque esterna all’IRF, con la quale siete ancora costretti a fare i conti vostro malgrado. Si direbbe che, nonostante i dubbi sollevati dal tuo intervento per i saluti ed i ringraziamenti finali a termine del concerto dei Kokoko!, in cui hai lasciato intendere che potrebbe non esserci un IRF 2019, stiate, in realtà, già lavorando alla prossima edizione. Sbaglio?

Per ora vogliamo solo riposarci e non pensarci.

E allora buon meritato riposo. In bocca al lupo per la prossima edizione che l’intera The New Noise spera ci sarà. Sappi che qui si parla già di rinnovare la collaborazione intercorsa quest’anno tra rivista e festival, molti di noi sono già venuti alle mani per litigarsi i pochi press pass disponibili. Ci sarà da divertirsi… se sopravvivo!