Imago 3, 7/6/2015 (Klara Lewis, Stromboli, Jasun Martz)

Bologna, Museo Civico Medievale.

La terza incarnazione di Imago si sposta in centro a Bologna: il bellissimo cortile del Museo Civico Medievale abbraccia il festival in un unico blocco vivibile. La straordinaria architettura che ospita un museo ancora più eccezionale riveste un ruolo primario nella buona riuscita della serata. Per tutto il tempo si può accedere ai piani superiori per visitare alcune, poche stanze del museo (anche se è stato aperto gratuitamente tutto il giorno), ma soprattutto contemplare il risultato del workshop “Rappresentare i suoni” tenuto da Martìn Romeo, un lavoro di mapping interattivo che fa illuminare alcune statue del palazzo in base a dove uno si pone.

Jasun Martz

Puntualissima la performance di Jasun Martz, poliedrico artista sonoro e visivo che stasera fa risorgere il suo capolavoro “The Pillory” in una messa in scena totale, che dunque racchiude la sinfonia studiata insieme a Dubuffet e l’arte che ne è scaturita. Delle martellanti percussioni rituali tagliano il nastro rosso del festival: Martz si presenta con una maschera gigante in due dimensioni e comincia il rapido susseguirsi di azioni. La base perpetua è un drone elettroacustico generato da microfoni a contatto applicati a varie sorgenti, poi su di esso vengono ritagliati vari tipi di azione: ognuna di esse prevede una veste cerimoniale diversa con annesso copricapo, quasi a voler proporre uno stacco dimensionale e mentale. In effetti Jasun Martz compie gesti disparati: una mistica danza tribale su latte e metalli circolari, molto difficili da amplificare e infatti poco efficaci; dipinge anche, un lungo telo bianco posto alle spalle (sulle più antiche mura di Bologna) viene colorato per dar vita a volti astratti che poi trascendono in quell’unica grande maschera indossata all’inizio e alla fine delle azioni. Il pennello martziano è collegato a un microfono a contatto che però non dedica il giusto suono alla pittura. La scompostezza e la suddivisione disordinata ricordano il set che porta in giro Charles Hayward dei This Heat: un live performativo molto complesso ma non coagulato, anzi scomodo nella fruizione.

Stromboli

Del tutto diverso Stromboli, che regala un fine intrecciato di ambient/noise/drone ipnotico e distensivo. In realtà la quiete non ha molto spazio nel concerto, anzi dei bassi impervi alla Suicide distillati da un kraut oscuro ne curvano l’andamento. Ventate continue di noise gonfiano le frequenze e rendono l’insieme più rotondo, carico di elettronica frizzante ma senza sforare in ambiti troppo ritmati. L’ausilio di una chitarra aggiunge quel tono elettrico che manca per riempire lo spazio. Il pubblico è abbastanza distratto e qualche chiacchericcio di troppo non aiuta a focalizzarsi sulla musica, ma pian piano sono molti che iniziano a sedersi richiamati da questa spirale audio-visiva. Alienanti le immagini proiettate sullo sfondo, attimi sfuggenti di auto in fiamme, il tutto in bianco e nero. Qualche minuto di video ripetuto a loop che odora di feticismo cronenberghiano e reagisce alla perfezione con il live sempre più austero, che a sua volta schiuma in crescendo di volume e rumore bianco per poi sparire di colpo, stroncandoci col buio.

Alla serata sono presenti distro, banchi per mangiare e un bar fornito al quale fare benzina. Imago, inoltre, proietta in continuazione il suo logo su una finestra cieca sopra il palco, aggiungendo un piccolo contributo ornamentale alla già grandiosa location a cielo aperto.

Lewis

Termina l’attesissima Klara Lewis, field-recorder svedese figlia di quel Graham membro dei Wire (loro raggiungeranno Bologna il prossimo mese, per inciso). Lewis sale sul palco con una birra e poco altro, e dà una realistica riporduzione di Ett, album uscito nel 2014 per Editions Mego. Pezzi che raramente raggiungono i cinque minuti e una varietà notevole di sensazioni protette da una firma stilistica che le tiene insieme fanno del concerto un’unica grande suite scheggiata. Brani oscillanti fra dark ambient rarefatto e drone roco, effimero. Anche la Lewis è aiutata da un apparato video centrato, solo che, rispetto a quelle di Stromboli, le immagini sono astratte, sfocate, in movimento convulso, come d’altronde è la sua musica. Il set è vorticoso, spettrale il suono, spesso minimale: induce al pensiero e alla totale devozione. La fase finale si trascina un po´ troppo verso una ricerca del sempre diverso, ma riesce lo stesso a culminare in un climax abbastanza etereo e, anche qui, denso di volume.

Grazie a Luca Ghedini per le foto come sempre scattate in modo rispettoso per l’audience.