Il diavolo con il fonografo: intervista a Davide Lorenzon (Aut Records)

Davide Lorenzon
Davide Lorenzon

Aut Records è un’etichetta di Berlino ma animata da teste italiane: languages of the unheard, recita il sito, e fortunatamente spesso i dischi che compongono un catalogo oramai davvero nutrito (siamo attorno alla cinquantina) rispondono a questo motto e/o suonano comunque freschi, personali, non conformi al conformismo ed al galateo jazz . Qui le recensioni di alcuni lavori. Abbiamo fatto due chiacchiere con Davide Lorenzon. L’intervista sarebbe dovuta uscire all’interno di un articolo molto ampio, un’indagine su alcune etichette italiane e sullo stato dell’arte della musica non allineata del Bel(?)Paese; doveva pubblicarmelo Alfabeta2, che nel frattempo però, dopo la morte di Nanni Balestrini, per volere degli eredi, ha chiuso i battenti. Ecco perché ad esempio alla fine, non vengono menzionati gli ultimi dischi usciti per Aut, ovvero Acre, Phase Duo e Kongrosian.

Com’è nata l’etichetta, con quali prospettive?

Davide Lorenzon: Innanzitutto grazie per l’interesse dimostrato nei confronti delle produzioni Aut e per lo spazio che ci dedichi con quest’intervista. L’etichetta è nata nel 2010, quando ancora abitavo a Bologna. Essendo musicista, l’esigenza principale che ha contribuito alla nascita di questa esperienza è stata sicuramente quella dell’auto-produzione. Al tempo suonavo principalmente con i Kongrosian, trio (allora quartetto) di strumenti a fiato che condivido tuttora con Ivan Pilat e Alberto Collodel. Da qualche tempo volevamo produrre un disco e ci è sembrato più semplice e naturale far da noi. Non tanto per sfiducia verso le tante etichette già esistenti, ma principalmente per facilità e immediatezza. E anche per avere il controllo totale sulla nostra produzione, compreso l’aspetto grafico. Avendo comunque da sempre una forte passione per l’editoria in senso ampio, decisi di prendermi carico di questo progetto e di dare vita con questa prima uscita ad Aut Records, senza avere in mente un progetto a lungo termine: sarebbe stata la fucina delle nostre future produzioni e magari di qualche altro musicista a noi vicino, non molto di più. La cosa mi è successivamente sfuggita di mano.

Dal punto di vista economico e gestionale come funziona?

Io seguo il lavoro sotto tutti i vari aspetti ma nel tempo hanno collaborato a questo progetto diverse persone, alle quali mi lega prima di tutto un rapporto di amicizia, oltre che di stima per il loro lavoro. Senza queste collaborazioni fondamentali Aut Records non esisterebbe così com’è oggi. La collaborazione più stretta e più longeva è con il grafico e artista Sandro Crisafi, con Aut Records fin dalle sue origini. Più recentemente anche il pianista e grafico Nicola Guazzaloca ha contribuito con diversi lavori per le nostre copertine.
Per quanto riguarda invece l’aspetto economico, se dovessimo essere precisi, più che un’etichetta siamo un servizio di supporto e di selezione di artisti e produzioni con cui ci sentiamo in sintonia per attitudine e gusto. È vero, nel migliore dei mondi possibili un’etichetta dovrebbe produrre anche dal punto di vista economico un disco in cui crede, metterlo in vendita e riuscire ad andare avanti con i ricavi ottenuti dalle vendite. Oggi è raro trovare questo tipo di supporto, soprattutto se parliamo di musiche di nicchia: noi non riusciamo, almeno per ora, ad essere un’eccezione a questa tendenza.

È diverso gestirla da Berlino, da Pordenone, da Castelfranco, da Trezzano o da Bari  (il riferimento è a Setola di Maiale, Boring Machines e Wallace Records, le altre etichette che avevo coinvolto in questa ricognizione sullo stato delle cose in Italia per chi diffonde musiche altre, ndr)?

Posso dire che non è cambiato molto da quando stavo a Bologna dal punto di vista strettamente “organizzativo”, ma il trasferimento a Berlino mi ha chiaramente esposto a una serie di incontri con molti altri musicisti e in genere con una scena musicale estremamente viva e variegata. Tutto ciò ha influito più o meno direttamente sull’attività dell’etichetta, per esempio mi ha dato la possibilità di organizzare in maniera molto agile grazie all’aiuto di altri musicisti tre Aut Fest e un paio di Aut Nights nel corso di questi ultimi cinque anni, festival che hanno visto la partecipazione di artisti residenti a Berlino e anche di molti italiani in trasferta per l’occasione. Tra i musicisti che ho conosciuto qui a Berlino c’è anche Michele Pedrazzi, che è stato uno degli organizzatori principali di quei festival e più in generale un importante collaboratore per lungo tempo.

Tua opinione sulle musiche eterodosse in Italia e fuori: nomi, scene, locali, pubblico, differenze.

In Italia conosco ormai poco e di riflesso. Mi sembra però che nell’area emiliano-romagnola ci sia ancora una bella scena di musica creativa, anche se a Bologna si percepisce a mio avviso l’assenza di un posto di riferimento per l’ascolto di questa musica dal vivo. Allo stesso tempo penso ad una rassegna come Angelica o a una realtà come la Scuola Ivan Illich che resistono negli anni e rappresentano in ambiti diversi un modo “altro” di ascoltare ed educare alla musica. Mi sembra poi che ci siano validissimi giovani musicisti che stanno portando avanti progetti significativi, penso ad esempio a Tobia e Michele Bondesan di cui abbiamo da poco pubblicato un disco in duo, a Simone Di Benedetto che ha pubblicato sempre con noi il suo debutto per contrabbasso solo e Luca Sguera con il suo progetto AKA uscito recentemente per Auand.
 A Berlino c’è sicuramente di tutto e di più, c’è un numero elevatissimo di musicisti e artisti in generale, provenienti da ogni parte del mondo. Questa situazione determina una facilità d’incontro con ottimi musicisti e con i più disparati linguaggi e influenze, e ovviamente questa è un’ottima opportunità per la nascita di progetti musicali creativi. Allo stesso tempo, anche proprio per questi numeri elevati, la situazione dei concerti nei locali non è tra le migliori economicamente parlando, e questo può avere alle volte un effetto retroattivo anche sulla disponibilità da parte dei musicisti a spendersi in progetti di lunga durata, preferendo la forma della “session” che personalmente trovo utile ma alla lunga limitante. Sto parlando dell’ambito musicale in cui mi muovo io, di quella che qui viene definita “Echtzeitmusik”, ovverosia la musica che viene sviluppata lì davanti a te, in “tempo reale”.
Se dovessi indicare un posto rappresentativo e a cui sono più legato non avrei dubbi e sceglierei il Sowieso, nel quartiere di Neukölln.

Pubblicate in un supporto che sta vivendo il momento più buio della sua storia, il cd. Come mai? Te lo chiedo da fan del cd.

Perché rappresenta ancora un buon compromesso tra la necessità di avere un supporto attraverso cui veicolare la propria musica e i costi di produzione. Le stesse ragioni per le quali specularmente è anche un mezzo obsoleto, nel senso che molta della musica non passa più attraverso la mediazione di un supporto e i suoi costi relativamente bassi e il formato relativamente piccolo lo rendono un oggetto meno appetibile rispetto al vinile. Mi sembra evidente che andremo sempre più verso un predominio dello streaming o comunque della smaterializzazione dei supporti, ma non per forza questo comporterà la scomparsa definitiva degli altri formati ancora esistenti. Piuttosto, dovremo prepararci ad un futuro senza plastica e capire se sarà ancora possibile fabbricare, tra le tante altre cose, anche cd, cassette e vinili.

Come ti immagini il futuro dell’etichetta?

Mi auguro di riuscire ad allargare il catalogo anche ad altri Paesi e ad estendere le nostre possibilità di produzione. Un’idea che ho da tanto tempo è anche quella di lavorare con altri media. Penso principalmente all’estensione dell’etichetta in una sorta di casa editrice e a un sito parallelo, una sorta di magazine on-line dove poter unire l’interesse per la musica a quello per la critica sociale, per la letteratura e per la scienza.

Etichette che senti complici, sorelle?

Fino ad ora abbiamo fatto una sola co-release con Amirani Records di Gianni Mimmo, etichetta con la quale abbiamo sicuramente molti punti in comune. Ora invece stiamo per far uscire la nostra cinquantesima uscita in collaborazione con un’altra giovane etichetta italiana di base a Berlino che si chiama “Oltrarno Recordings”. Sarà un’uscita speciale, un vinile che vede protagonista ancora il trio Kongrosian su un lato e sull’altro tre remix ad opera di “Cloud Of Illusions” (nome d’arte di Stefano Meucci della stessa Oltrarno), Daniele Papini e il decano della minimal techno Thomas Brinkmann. Tutte e tre le altre etichette che fanno (avrebbero dovuto far parte, ndr) parte di questo servizio (Setola, Boring Machine e Wallace) sono delle importanti realtà che considero vicine. Un’altra etichetta che seguo in Italia è Auand, mentre all’estero sicuramente Clean Feed e Pi Recordings.

Cosa non ti piace nella musica di oggi, cosa ti esalta?

Credo che l’enorme offerta musicale contemporanea sia un elemento contraddittorio. C’è sovrapproduzione di tutto e anche cultura, musica e arte in generale non sfuggono a questo problema, creando alle volte false illusioni di libertà in una società che lascia sempre meno margini reali di manovra, ovvero non mantiene le promesse. Uno degli effetti collaterali è l’omologazione, spesso travestita da eccentricità. E questo è il lato negativo.
Quello positivo è rappresentato dalla stessa esplosione di codici consolidati, la creazione di una babele sonora ed espressiva che probabilmente facciamo ancora fatica a decifrare perché ci troviamo al suo interno.
Trovo particolarmente esaltante quando alla negazione del codice stesso si sostituiscono nuovi linguaggi che non hanno più paura di prendere elementi provenienti dal passato e dal presente per utilizzarli e contaminarli, creando così ibridi sonori corrispondenti alla fase di transizione in cui ci troviamo, dove dal caos alle volte nascono nuove forme d’ordine.

Ultime uscite, dischi di cui sei particolarmente orgoglioso?

Le ultime quattro uscite sono una buona fotografia di cosa è Aut Records. Casino Di Terra con Cosa Potrebbe Accadere rappresenta il mio legame con la scena bolognese, essendo il trio capitanato da un veterano di quella scena come Edoardo Marraffa; il solo Depth Sounding di Simone di Benedetto e Oak dei fratelli Bondesan sono invece frutto dell’attenzione verso tutto ciò che c’è di nuovo nel panorama italiano nell’ambito dell’improvvisazione, che sia legata alla musica contemporanea come nel primo caso o al jazz come nel secondo. Infine Live At Nikodemus Church dell’Hanam Quintet rappresenta invece il legame più continuativo con la scena berlinese, essendo questo il loro terzo disco che esce per noi. Infine, i dischi tra quelli che abbiamo prodotto a cui sono forse più legato sono: il primo disco dei Kongrosian, perché ha dato il via al tutto e poi  Bug Jargal di Luciano Caruso, Giorgio Pacorig e Nello Da Pont. Intorno alla fine degli anni Novanta questa registrazione girava come bootleg nella scena hardcore-punk di Vittorio Veneto, dopo circa una quindicina di anni ho deciso di riprendere questa registrazione e darle una veste ufficiale, con l’artwork del libraio situazionista Walter Dal Cin, la grafica di Sandro Crisafi e le liner notes di Pino Saulo. Un disco spaziale, che viene da lontano e che mi accompagna negli anni.