IIVII, Obsidian

IIVII, Obsidian

mother! is a film where half measures have no place and after Darren and I had explored many different approaches, my instinct was to eliminate the score entirely. Erasure is a big part of the creative process and in this case, we knew we had to take this approach to its logical extreme” (Jóhann Jóhannsson, qui la fonte)

Per chiarire la citazione: “mother!” (2017) è un film di Darren Aronofsky (“The Wrestler”, “Black Swan”…), una mega-metafora che va senza remore sui massimi sistemi. Per farla breve, a un certo punto Jóhann Jóhannsson, mettendo da parte il proprio ego, si rende conto che la colonna sonora che sta realizzando per Aronofsky potrebbe sviare o – al contrario – rivelare troppo, magari semplicemente essere superflua, prevedibile, e la cancella. Sound design, attori e silenzio: questa la sua scelta finale. Nello stesso periodo, oltre a ritirarsi di sua sponte dal ruolo musicale in “mother!”, poco prima di morire Jóhannsson – come forse sanno già tutti – si vede pure accantonare il suo lavoro per “Blade Runner 2049” (al suo posto arriva Hans Zimmer). Non so se collegando questi due episodi si possa trovare una qualche morale o se ci sia qualche lezione da imparare: una, banalissima, è che niente e mai semplice per nessuno, anche per i migliori. Dunque, se fossi stato Josh Graham, avrei avuto molta paura nell’accostarmi alla creazione della colonna sonora del documentario sul “dietro le quinte” di questo film, in cui mi sarei trovato a dover commentare alcune scene di fronte alle quali Jóhannsson aveva alzato bandiera bianca: il primo episodio di questo disco, ad esempio, si intitola “Octagone” proprio perché parla della casa a pianta ottagonale dove vivono i protagonisti della pellicola, così come il cuore nero visibile sulla copertina di questo disco, oltre che parte del titolo di una traccia, è sempre un riferimento evidente alla storia raccontata da Aronofsky. Graham, invece, ha avuto coraggio o incoscienza, e si è piaciuto così tanto che ha sviluppato e trasformato in questo Obsidian i pezzi preparati per il documentario.

Devo scriverlo subito, perché alla fine tutti mi fareste la stessa domanda: non so se avrebbe avuto già la forza per affrontare un cinema in parte lontano dai suoi soliti riferimenti, nell’ipotesi solo di scuola (troppo poco curriculum) che qualcuno avesse chiamato lui anziché Jóhannsson. Lavorando allo score, infatti, Josh ha cercato di non suonare troppo “fantascientifico” come in passato e di sistemarsi in una zona non subito associabile a un genere preciso, questo secondo me perché “mother!” è ambiguo, non classificabile, ma allo stesso tempo prende dal thriller e dall’horror e dunque ha bisogno di uno dal background “estremo” e non classico (direte voi: alla fine è stato quello dal background classico a fare il gesto più estremo…  la realtà è complicata…). Ci si imbatte, come sempre con IIVII, in suoni processati per ottenere un paesaggio intorno a melodie semplici (spesso radi tocchi di piano à la Reznor/Ross) e inevitabilmente tutto è a tinte scure, perché una cosa è certa: il film comincia quasi da subito a trasmettere inquietudine e ansia (la scelta della parola non è casuale) e il documentario approfondisce questi aspetti. Anche le pulsazioni, quando ci sono, vanno adagio e si fermano un attimo prima di diventare troppo invasive: c’è un senso di attesa e mai azione vera e propria. A volte poi, si sa, basta azzeccare un solo suono per essere ricordati, e qui il vincitore è il synth di “MineBlackHeart”, che di nuovo, come e fosse attratto da un magnete, ci porta su territori fantascientifici, quindi forse lontani da Aronofsky, ma vicini al miglior Graham.

Obsidian, in sintesi, è un disco di IIVII che si attesta all’incirca sullo stesso buon livello dei primi due, solo con qualche sfaccettatura diversa, visto che deriva dalla prima “commessa cinematografica” per il musicista e non da un “film immaginato” (nota bene: il leader degli A Storm Of Light è molto bravo, e qui lo hanno sempre scritto più persone, dunque ci fa gioco in chiusura sottolineare il fatto che un’importante produzione abbia riconosciuto il suo talento e lo abbia coinvolto in un progetto così grosso).