HUNGRY LIKE RAKOVITZ, Nevermind The Light

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A pochi mesi dall’ep The Inevitable Return To Darkness, gli Hungry Like Rakovitz fanno uscire il nuovo album, riprova della sempre maggiore sicurezza con cui trattano la materia estrema. Il suono della formazione si fa sempre più claustrofobico e denso, appiccicoso come il pavimento di un incubo quando si cerca di correre lontano dai mostri che ci inseguono. Non mancano le sfuriate e le accelerazioni che ne hanno segnato lo stile sin dagli esordi, ma vanno sempre più spesso a infrangersi contro un muro sludge che ne spezza la corsa e ne rende ancora più violento l’effetto proprio perché amplifica l’urto. Basta del resto scorrere la lista dei titoli per comprendere quali siano le atmosfere che si incontreranno lungo il tragitto, perfetto punto di fusione tra la Norvegia e la Louisiana, il gelido approccio del black e la desolazione di un trailer park perso nelle paludi. Di grind e postcore restano quasi solo l’approccio e il retrogusto: si tratta d’ ingredienti ormai immersi nel magma che viene riversato senza tregua sull’ascoltatore, eppure sono sempre gli Hungry Like Rakovitz che seguiamo sin dagli esordi, perché la loro è stata un’evoluzione fatta di continui aggiustamenti piuttosto che di cambi drastici, una progressiva discesa agli inferi che con Holymosh, The Cross Is Not Enough e gli split/ep realizzati negli anni li ha portati a plasmare una delle formule più caustiche e radicali attualmente in circolazione. Non è un caso (nel black metal si cerca spesso questa contaminazione) che Nevermind The Light si concluda con un brano strumentale dai rimandi dark ambient, anch’esso con un titolo programmatico come “Refusing Light”. Serve aggiungere altro?