HUMUS

Humus

Giunti alla pubblicazione di un album dopo ben sette anni di attività, gli Humus rappresentano un ottimo esempio di attitudine hardcore intransigente, racchiusa all’interno una musica che punta dritto allo stomaco e lascia il giusto spazio a testi consapevoli e per nulla banali. Ecco il frutto di una chiacchierata a più voci con l’intera band.

Gli Humus nascono nel 2005, vi va di fare un breve riassunto per chi vi ha conosciuto solo di recente? 

Il 2005 segna l’anno in cui gli allora Cnc (che suonavano da un annetto/due) cambiano batterista. Da lì si decide di cambiar nome e intenzioni: smetterla di fare cover e iniziare a suonare pezzi nostri, il tutto con un approccio un po’ più serio del precedente. Piano piano, abbiamo iniziato a girare un po’ in zona, ma è solo dopo due anni che si va in studio a registrare la prima demo (dicembre 2007). Diciamo che siamo stati sempre un po’ pigri, forse lo siamo tuttora. Più o meno dal 2008 si diventa più incisivi, si suona sempre di più e si esce fuori dalle Marche. Dal 2009 iniziamo a fare qualche tour in Europa e a far uscire split, cassette e così via… Nel 2010 abbiamo ampliato la formazione con un secondo chitarrista, anch’egli facente parte di precedenti progetti in comune, nonché stretto amico. Da allora si può dire che non ci siamo mai fermati. Amen.

Cosa vi ha spinto a fondare gli Humus e da dove nasce la scelta del nome? 

Ciò che ci ha spinto a unirci come Humus è stata la passione per certe sonorità che ci accomunavano (hardcore italiano in primis), il voler provare a far qualcosa di nostro e la voglia di divertirci suonando. Poi tutto è venuto da sé. L’amicizia che ci legava e che ci lega ha fatto sì che portassimo avanti tutto in maniera spontanea e senza alcun tipo di pressioni. Il nome Humus viene dallo strato più superficiale del terreno, quello che trattiene gli esseri viventi dopo la morte in uno stato di decomposizione. Accostiamo a questa immagine l’idea pessimista sulla condizione di alcune persone, che vivono passivamente un esistenza simile a un lento marcire. Poi in realtà l’humus è la parte che dona fertilità alla terra, dando cosi la vita. Tutto sommato quindi, è un’ idea anche positiva.

Parliamo un attimo dei due split con NIS e Terror Firmer, come sono nate queste collaborazioni e che cosa vi ha portato a scegliere proprio queste due formazioni? 

Entrambe le collaborazioni sono nate da un’amicizia di fondo e dal supporto per il lavoro altrui. Durante i mesi prima dell’uscita di quei lavori cercavamo band che potessero fare coppia con noi e le abbiamo trovate in loro. Con questi gruppi ci sentiamo legati sia personalmente sia a livello musicale. Con i NIS abbiamo condiviso più volte il palco, mentre purtroppo con i Terror Firmer le occasioni sono state più rare.

Questo è il vostro primo album, cosa vi ha spinto ad aspettare così tanto tempo prima di realizzarlo? Non vi sembra una mossa in controtendenza soprattutto oggi che i gruppi si formano e pubblicano il primo disco nel giro di una manciata di mesi per poi sciogliersi altrettanto velocemente?

Non è stata un’impresa facile. In realtà anche in passato avevamo materiale per un album e più volte avevamo pensato di realizzarlo, ma essendo da poco attivi, abbastanza inesperti e squattrinati, abbiamo deciso di farci conoscere pian piano con piccole uscite. Dopo il secondo split abbiamo deciso di fare qualcosa di più grande. Forse è in controtendenza ma ci è sembrato giusto agire così allora. Poi per creare un album ci siamo dovuti anche affidare a gente che prima non conoscevamo nemmeno e senza di loro dubito ci saremmo riusciti in maniera decente. Mettici anche la nostra abituale calma e alla fine di tempo ne è passato anche troppo. Insomma… è ora che ci sciogliamo anche noi…

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I testi non sembrano davvero essere un mero riempitivo nella vostra musica, piuttosto si tratta di un vero e proprio valore aggiunto. Vi va di parlarci di ciò che li influenza dei temi che preferite trattare?

In questo genere musicale crediamo sia molto importante ciò che si vuol dire, anche se poi all’ascolto non si afferra al volo la sintassi. Per noi testo e musica sono complementari. La musica è la componente fisica e violenta di una riflessione, di un pensiero, di un qualcosa che accompagna la presa in visione di un fenomeno visto dalla nostra lente e costringe anche l’ascoltatore a farlo. Il soggetto di un testo può nascere da qualsiasi cosa urti le nostre coscienze. Crediamo siano in un certo senso politici, intesi come presa di posizione, ma allo stesso tempo riflettono un sentire personale. Che l’oggetto in questione sia una realtà comune a tutti o qualcosa di più intimo, il nostro non è un messaggio da slogan diretto, ma una nostra analisi, che mira a smuovere le coscienze.

Coproduzione come necessità o scelta ragionata? Che importanza ha oggi mantenere vive una reale politica diy e un’attitudine consapevole quando tutto sembra spingere la musica verso la funzione di mero prodotto usa e getta da consumare nel giro di poche settimane?

Il fatto di autoprodursi è stato innanzitutto una necessità, dato che nessuno ci hai mai chiesto né si sognerebbe mai di produrci qualcosa, quindi, se volevamo fare uscire un 7” o un cd, l’unica strada era farlo da soli. Detto questo, quando t’accorgi che dietro la musica si nasconde un meccanismo di sfruttamento, atto a farne semplice merce di consumo, se si vuole rimanere indipendenti e in qualche modo antagonisti alla perversione capitalista del prodotto che vende e che piace a tutti i costi, quella del diy rimane l’unica via praticabile. A questa situazione non è estraneo neanche il punk hardcore, ma puoi star certo che un disco autoprodotto, che non risente della moda del momento alla quale è costretto ad adeguarsi per logiche d’etichetta, suonerà dieci volte più sincero anche a distanza di anni.

Esiste un circuito o una scena cui vi sentite legati? Quali sono i vostri compagni di merende preferiti?

È esistita per qualche anno una sottospecie di rete che univa persone e gruppi orbitanti intorno alle Marche. In questo periodo abbiamo suonato in praticamente tutti i centri sociali della regione, dividendo il palco con gruppi della cosiddetta scena punk di quel momento, che comprendeva principalmente gruppi hardcore, punk e anche oi!. Purtroppo, in breve la situazione che si era creata è lentamente “scemata”, i posti sono scomparsi, le occupazioni sgomberate o, peggio, hanno dimostrato sempre maggiore disinteresse verso quei pochi gruppi rimasti, che si sono poi sciolti. Gli unici posti dove eravamo veramente di casa sono stati il Cervello Occupato, dove abbiamo anche vissuto, e il circolo anarchico di Jesi, che nell’arco degli anni ha portato e porta avanti un’attività politica e musicale molto importante.

Avremo modo di vedervi suonare in giro a breve? Com’è la situazione dei live oggi in Italia rispetto a quando avete iniziato, credete sia migliorata o peggiorata? 

Allora: sabato 22 abbiamo suonato a Bologna per la prima volta, dopo vari inviti che abbiamo dovuto declinare, in occasione del September to Dismember. Poi forse si suonerà ad Ancona, nella nuova gestione del vecchio centro sociale 8°km. Poi niente più, ma siamo più che disponibili a suonare ovunque, soprattutto ora che è finalmente uscito il disco.

La situazione dei concerti ora come ora a noi sembra peggiorata, in quanto prima c’era più gente, oltre che più supporto e più interesse. Per lo meno qui da noi. In Italia in realtà di concerti ce ne sono moltissimi, ma tutti concentrati in poche città. Per questo bisogna sempre spostarsi, visto che nelle Marche c’è calma piatta.

Grazie mille, a voi le conclusioni…

Grazie mille a te e The New Noise per l’interesse ed il supporto, a tutti i gruppi, posti, amici/amiche (purtroppo poche), bar che ci hanno supportato in qualche modo nell’arco degli anni. Se vi serve un gruppo fate un fischio, costiamo poco… (anche se dopo quest’intervista il nostro cachet aumenterà del 20%).