HORSENECK, Heavy Trip

Va bene, lo ammetto: questa volta non so da che lato iniziare. Se attaccassi a descrivere genere, influenze e altre caratteristiche degli Horseneck e del loro Heavy Trip, finirei probabilmente con il confondervi le idee senza suscitare in voi alcuna curiosità.

Il fatto è che ‘sti quattro californiani riescono a spostarsi dai Deep Purple ai Kasabian, passando per i Refused, nei primi 50” dell’album. Qualora non vi fosse arrivato il concetto, la cosa equivale ad andare da New York City a Singapore perforando la Terra da parte a parte. Impossibile? No, almeno in questo caso.

Balzare ripetutamente da un capo all’altro del rock duro ed estremo per gli Horseneck è come percorrere un rettilineo.  Non importa quale sia la distanza stilistica, storica e geografica tra due punti, per loro è tutto dietro l’angolo. Post-core, indie rock, sludge, 70’s rock, desert rock… non c’è problema, ovunque vogliate andare è la prossima fermata.

Altri esempi? “Michael Caine” (che titolo!), seconda traccia in scaletta: Fu Manchu – The Bronx – Rocket From The Crypt, tutti sullo stesso binario, ‘na sorta d’intercity californiano che non effettua fermate. “Hangman”, la numero 5, in parte arida e solitaria tanto da ricordare i Donkeys e un po’ i Calexico, viene fatta detonare sul confine Refused-Electric Wizard. Perché? Non vi eravate accorti che Refused ed Electric Wizard confinassero? Neanche io, ma ora lo sì!

Il motivo che rende possibile tutto ciò suppongo risieda in quello che è stato il brodo primordiale dal quale i generi a cui la band si rifà (e non solo quelli) hanno tratto energia e linfa vitale. Gli Horseneck sono un nucleo magmatico incandescente ricoperto da strati di contorsione sociale, disadattamento, emarginazione, disperazione, repressione, rabbia, sofferenza. Stati d’animo e mentali che si conficcano nella carne come filo spinato e ardono come tizzoni infernali nello stomaco e nel cervello. La necessità di reagire per non implodere è proprio la forza generatrice di questa palla incandescente, che si gonfia fino a far saltare la gabbia in cui è racchiusa con una fiammata improvvisa ed incontenibile, come quello ‘SHOTGUUUUUN… YEAH!’ urlato a squarciagola in “Bobby Brown”. Grazie a lavori come Heavy Trip possiamo ammirare dettagliatamente questi globi in eruzione, muovendoci dalla superficie verso il centro.

Post-core e sludge sono i poli dell’asse su cui ruotano gli Horseneck, generando un campo magnetico impressionante, capace di strappare influenze musicali da ogni girone dell’inferno, ingoiarle come farebbe un buco nero e accrescere ulteriormente la propria forza; non solo in modo brutale, ma anche con una certa classe. State alla larga se non volete rischiare di esserne risucchiati.