HOLLY HUNT, Year One

Year One

Essere “artisti” non significa necessariamente esprimere la propria fantasia in un solo modo o tramite un solo metodo (pennello, strumento musicale, macchina fotografica, spatola, martello, fiamma ossidrica…). Beatriz Monteavaro e Gavin Perry, dalla Florida, sono artisti “visual”, dediti a mescolare pittura, scultura ed effetti, e musicisti, dediti a sonorità pastose, ibride e parecchio distorte, definibili come drone-doom solo per brevità e per dare l’idea di cosa aspettarsi: musica pesante e dilatata. Holly Hunt è la loro band, nella quale Beatriz è alla batteria e Gavin si dedica a distorsioni ed effetti alla chitarra. Una band relativamente giovane, visto che inizia nel 2010 con uno split con Viking Funeral. Dopo un demo nel 2011, nel 2012 l’attività di Holly Hunt esplode sia dal vivo sia con l’uscita della cassetta eponima, oltre che con la partecipazione alla bella compilation Swamp Abyss Sorcery, diffusa a inizio 2012 da un gruppo di attivissimi blogger e promotori floridiani, e a metà dicembre 2012 con l’uscita dell’album di debutto Year One per l’etichetta underground americana Other Electricities. L’album è disponibile sia in vinile (con codice di download) sia in formato digitale su Bandcamp.

Nome nuovo, ma musicisti tutt’altro che alle prime armi, visto che, ad esempio, Beatriz Monteavaro, che suona anche nella experimental/alternative/punk band Beings, nel suo curriculum vanta il coinvolgimento, nei primi anni Novanta, niente meno che nei Floor, band dallo stile originale e di riferimento per il panorama doom-stoner americano, visto anche il legame con Cavity e Torche. Non per niente la registrazione di Year One è stata affidata a Jonathan Nuñez (Torche, appunto).

Year One è un vortice sonoro di oltre 39 minuti, che consiste di dieci tracce strumentali nel corso delle quali il duo si sbizzarrisce giocando con distorsioni, doom, drone ossessivo, noise, psichedelia, come se fossero colori, materiali e spazi, su una base fatta di groove proprio di heavy metal e rock’n’roll. La prima e l’ultima traccia, “Lunar Module” e “Maraschino”, provengono dalla cassetta summenzionata. Il resto è nuovo, tracce di durata non eccessivamente lunga, da meno di due minuti a poco oltre sei minuti. Lo stile degli Holly Hunt è ipnotico. L’ipnosi è indotta a forza dal suono portante granuloso dei riff semplici, mantrici e dei ritmi lenti e cadenzati della batteria, a cavallo tra Electric Wizard e Sunn O))), introdotto – si diceva – da “Lunar Module”, una nenia distorta di apertura. Nelle tracce lunghe che seguono, “Atlas” e “Manchurian Candidate”, i sensi annebbiati vengono risvegliati sia da piccole variazioni nella melodia portante sia da rapide virate verso tempi accelerati, seguiti poi da una cascata di riff monolitici e iper-rallentati: un pattern, quest’ultimo, da copione sludge – se non death metal floridiano alla Morbid Angel – in piena regola. Ci sono, però, anche brani decisamente veloci e mid-tempo, come i più brevi, “Klub”, “Paper Please”, “New Sun” o “Disco Is Dead”, nei quali la band crea delle parentesi stoner-doom con una carica di groove e di distorsione dissonante che richiama il noise-doom-rock dei Floor, anche se manca la voce. In “New Sun” è la velocità che diventa ipnotica per il ritmo sincopato del riff portante, spezzato da brevi intervalli nei quali l’improvviso rallentamento induce perfino a respirare più piano.

Queste belle “parentesi” veloci si infilano tra un brano drone/post-metal/ambient come “Molasses”, in cui la band indulge nella creazione di un suono molto atmosferico e perfino etereo pur nella sua pesantezza, e la traccia “Destroy All Monsters”, severa, ruvida e “carica” di doom martellante. La chiusura dell’album è affidata, in “Maraschino”, alla ripetitività ossessiva del suono distorto della chitarra di Gavin, che annega nel rumore incessante e frusciante dei cembali. Insomma, Year One si distingue per una sequenza abbastanza dinamica di brani, sonorità e sensazioni (o “mood”), nonostante il carattere ipnotico della musica e il senso generale di viscosità e oppressione del suono.

Questo disco rappresenta un bel debutto per una band che, seppur con una formazione ridotta al minimo, dimostra di saper spaziare tra generi, di saper creare muri di suono che affascinano. La dimensione del “full-length” è quella che si addice allo stile di degli Holly Hunt, per cui secondo me non ha molto senso estrarre una singola traccia in quanto “rappresentativa”. Prendetevi dunque un po’ di tempo ed immergetevi nell’esperienza Year One.


Holly Hunt