HEXA, Lawrence English + Jamie Stewart, 14/2/2017

Non saprei cosa farne del colore. Il colore, per me, vincola troppo alla realtà. È limitante. Non concede spazio al sogno. Più aggiungi nero ad un colore, più questo diventa surreale… il nero ha profondità. È come un piccolo anfratto: lo imbocchi ed è buio e continua a esserlo anche andando avanti. Ma è proprio per questo che la nostra capacità percettiva si fa più acuta

David Lynch

Firenze, Cinema La Compagnia.

E nel buio della sala del cinema teatro “La Compagnia” di Firenze si insinuano i suoni spettrali e tenebrosi del duo HEXA (Lawrence English e Jamie Stewart degli Xiu Xiu), un progetto nato in concomitanza con la mostra “David Lynch: Between Two Worlds”, presentata alla Galleria d’Arte Moderna di Brisbane nel 2015. Parte della stessa includeva le “Factory Photographs”, una raccolta di fotografie (rigorosamente in b/n) di luoghi desolati, cupi ambienti industriali che Lynch ha immortalato in più di trent’anni di spostamenti tra vecchie fabbriche in disuso e terreni abbandonati in Polonia, Germania e Stati Uniti per cogliere il declino dell’industria pesante e l’impronta che questo ha lasciato sul paesaggio. English e Stewart, eccellenti nella manipolazione dei suoni, hanno perfettamente tradotto questo senso di angoscia in un oscuro ambient-noise infarcito con lamentosa ferramenta industriale.

Ad accomunare Lynch e gli HEXA è senza alcun dubbio l’idea di fare dell’immagine e del suono un insieme onirico, arrivando a far convogliare, in un’unica esperienza, percezione uditiva e percezione visiva (un esperimento che il regista aveva già fatto lavorando con Alan Splet alla colonna sonora di Eraserhead e successivamente con il cortometraggio “Industrial Soundscape No.1“). La composizione musicale, dunque, non ha una semplice funzione di accompagnamento delle foto, ma è un elemento intrinseco al susseguirsi delle immagini che vediamo scorrere in lenta dissolvenza sullo schermo: tra le rovine, in cui ad avere più risalto sono la bellezza geometrica dei tralicci di energia elettrica e l’imponenza delle fabbriche che si ergono come cattedrali, ci aggiriamo come spettri di una civiltà che sta scomparendo ed ha esalato l’ultimo respiro, mentre fortissime vibrazioni e suoni rarefatti ci arrivano dritti al petto. Il rumore stridente dei macchinari e lo sfrigolio dei cavi elettrici colpiscono i nervi rendendo questa performance un’esperienza fisica sia per lo spettatore che per English e Stewart: concentratissimi ed energici, non si fermano nemmeno quando il secondo, durante un momento di improvvisazione, si ferisce accidentalmente lanciando un piatto della batteria per aria.

È stata un’autentica apocalisse industriale, e Lynch probabilmente avrebbe definito tutto questo come un sogno di cose oscure e inquietanti.