HAPTIC, Ladder Of Shadows

“Tu prendi una cosa in cui è coinvolto Steven Hess e di solito si tratta di qualcosa di pregevole”.  C’è poco da obiettare ad una simile dichiarazione arrivata da un esperto navigatore di percorsi sonori, soprattutto se le parole seguono l’ascolto dell’ultimo lavoro firmato Haptic. Forte di una sinergia consolidata in diciassette anni di assidua collaborazione, il trio formato dal batterista aumentato americano insieme a Joseph Clayton Mills e Adam Sonderberg confeziona, quale quindicesimo tassello della sua discografia, un viaggio profondamente immersivo realizzato con la perizia nota a chi ne ha seguito fin qui il percorso artistico.

Ladder Of Shadows – estratto ancora una volta da un’unica sessione di registrazione attentamente manipolata e rifinita – propone un itinerario aurale tripartito composto da movimenti perfettamente distinti e incentrati su coordinate sonore differenti. Una pioggia tintinnante di risonanze metalliche sancisce un avvio percussivo di consistenza tattile che gradualmente sfuma lasciando spazio a scarni rintocchi pianistici. Il paesaggio risultante suona essenziale almeno fin quando non irrompe la voce ostinata dell’organo suonato da Olivia Block a dare densità e traghettare l’atmosfera verso un’appendice armonica intrisa di sfumature jazz. Le modulazioni dello strumento affidato alla compositrice originaria di Austin preludono alla sostanza della successiva “Once”, lunga stasi drone-ambient fatta di frequenze sinusoidali e feedback privati di scansione ritmica e linea melodica. La contrapposizione con “We Too Just” è netta ma, piuttosto che creare una frattura, concede un’ampia fase di transizione prima della deriva elettroacustica conclusiva, che lentamente scivola verso silenti orizzonti lowercase in cui rimbalzano nuovamente stille di piano e pulsazioni, chiudendo un tracciato circolare.

La costante di questa avvolgente spirale atmosferica è il connubio tra scrittura e improvvisazione, modalità espressiva alla base del progetto fin dalle sue origini, capace di disegnare traiettorie ammalianti dalle quali risulta evidente il dialogo tra suono e spazio in cui si espande. Un’esperienza sensoriale da non mancare.