Haikufestival 2018, dedicato a Pierantonio Pezzinga (con Fabrizio Ottaviucci e Chicago London Underground)

Ravaldino In Monte (FC), Area Sismica, 12 maggio 2018.

Mazurek

Serata conclusiva della stagione al chiuso dell’Area Sismica di Ravaldino in Monte, alla quale seguirà una breve appendice open air con tre concerti tra giugno e luglio, ad esempio quello degli Zu in assetto originale – quindi con il ritorno di Jacopo Battaglia alla batteria – uniti a Mats Gustafsson.

Oggi c’è un’accoppiata che sintetizza l’approccio libero e eyes wide shut che contraddistingue quello che è probabilmente il miglior locale da concerti di tutta Italia, la cui sempre ricchissima programmazione quest’anno ha offerto ai fortunati ascoltatori – tra i tanti – Otomo Yoshihide, Mats Gustafsson (una prima volta, a questo punto), Chris Corsano, Alessandra Novaga, Schnellertollermeier.

Ottaviucci

Pino Saulo di Battiti, che avrebbe dovuto chiudere la serata con il suo dj set, non ci sarà, ma intanto il pianista Fabrizio Ottaviucci ci prende per mano e ci porta nel mondo misterioso di Giacinto Scelsi, suonando una suite inedita del compositore romano, in undici parti, per quarantacinque minuti di magia pura: un perfetto gioco di specchi deformanti e psicologici, un nitore austero, ombre di Oriente, un che di enigmatico, felicemente imprendibile, languori alieni e un pathos asciutto, quasi disidratato a volte, per una musica impossibile da catalogare e difficile da descrivere. Il controllo di Ottaviucci sullo strumento è prodigioso, il gioco delle dinamiche ampio e il respiro largo e pensoso: fibrillazioni, abissi, pause pericolose e bellissime, risonanze, dissonanze, nuove consonanze, una suite crepuscolare e senza un filo di superfluo addosso, verso il finale quasi un Paul Bley su un tavolo autoptico, ma sono solo ellissi, ipotesi, suggestioni, come cercare di descrivere le metamorfosi di una nuvola.

Molto (troppo?) alte le aspettative per il secondo protagonista della serata, Chicago London Underground, cioè la connection tra Rob Mazurek (cornetta, elettronica, voce), Chad Taylor (mbira, batteria), John Edwards (contrabbasso) e Alexander Hawkins (pianoforte). Tanto il disco ci era piaciuto, tanto il live di stasera ci lascia interdetti: l’ispirazione pare latitare per lunghi momenti, l’improvvisazione  non trova la scintilla giusta, se non quando ci si avvicina al silenzio e si creano spazi, e i suonatori offrono, come sanno fare da sempre (indiscutibile la caratura del quartetto) migrazioni, vertigini. John Edwards in particolare alle orecchie del vostro cronista è parso un poco fuori fase e non particolarmente incisivo: a un certo punto del live Chad Taylor se ne va nell’iperuranio del groove con una sincope accelerata fantastica, ma il collega inglese non ha la prontezza di rispondergli adeguatamente. Molto interessante invece il pianismo di Alexander Hawkins, interrogativo e mai banale, sbilenco, corrusco e sornione, davvero una voce diversa e personale; Rob Mazurek, lo seguiamo da una vita oramai (la prima volta fu un concerto del Chicago Underground Duo alla Leopolda di Firenze, prima che assurgesse a funesta fama renziana) e lo riteniamo senza dubbio uno dei musicisti faro dell’oggi (qui abbiamo recensito uno dei suoi ultimi lavori in solo e qui l’ultimo dei São Paulo Underground). Come raramente accade, stavolta ha deluso: interventi vocali non particolarmente pregnanti, una conduzione del viaggio più selvatica e caciarona del solito senza essere poetica, lunare e languida come lui sa spesso essere. D’altra parte, da uno che ha sfornato veri e propri capolavori con tanti progetti diversi (il mio preferito è We Are All From Somewhere Else della Exploding Star Orchestra), un vero e proprio tedoforo del jazz più libero e contaminato, capace di portare sempre alta la fiaccola dell’ispirazione, è lecito aspettarsi sempre brividi, scosse (elettriche, sismiche): stasera sono mancati. Un po’ meglio le cose nel secondo pezzo, durate il quale una sequenza semplice e accattivante, da elettronica umanista, funge da impalcatura per le esplorazioni dei quattro: siamo abituati però a volare lontano, con Mazurek, mentre questa volta siamo rimasti esattamente dove eravamo.

Vi ricordiamo che Area Sismica sta effettuando un crowdfunding al quale potete partecipare  qui: chi ha a cuore le vicende della musica di un certo tipo non ha bisogno che io aggiunga altro. La questione è anche politica, in un tempo in cui la politica pare non valere più niente. I ragazzi di Area Sismica da quasi trent’anni ci aiutano a tenere le orecchie e la mente sempre aperte, fanno cultura (e quindi politica, nel miglior senso di questa ahinoi oggi svilita, sbiadita parola), arricchiscono la vita delle persone: ogni volta che si va via da Ravaldino in Monte, comunque sia andato il concerto (e nel 90% dei casi va sempre benissimo), si è sempre imparato qualcosa. Contro la dittatura del banale, questo è un posto che insiste, resiste e va supportato in tutti i modi possibili, presenziando ai concerti, scrivendone, dando un contributo. Vi basti sapere che il programma del prossimo Forlì Open Music, che si svolgerà in ottobre nei bellissimi spazi dell’ex Chiesa di San Giacomo a Forlì, è da pelle d’oca: vi anticipo solo , tra gli altri, The Necks, Yannis Kyriakides & Andy Moor, DKV (Ken Vandermark, Kent Kessler, Hamid Drake). Per tutti i dettagli areasismica.it .

Lunga vita all’Area Sismica!