GYÐA VALTÝSDÓTTIR, Ox

Gyða Valtýsdóttir, violoncellista attiva già dalla fine degli anni Novanta nei múm (band/“comune” di Reykjavík) assieme alla sorella Kristin Anna, Örvar Smárason e Gunnar Tynes, nel 2002 lascia il suo gruppo dopo il secondo album Finally We Are No One, quello del successo internazionale: i rapporti interni si sono deteriorati e lei abbandona per un lungo periodo l’Islanda, parte per San Pietroburgo, dove frequenta il Conservatorio, poi va a Basilea e lì si diploma alla Musik Accademy con il grande violoncellista svizzero Thomas Demenga, e ancora si sposta negli Stati Uniti, dove inizia a collaborare con Kronos Quartet, Colin Stetson, Ben Frost e Bryce Dessner (The National).

Il suo primo progetto solista arriva solo nel 2017: Epicycle, nel quale mette a frutto la propria formazione classica con brani tratti dalle musiche di Schubert, Schuman, Messiaen, ma anche George Crumb ed Harry Partch. Nel 2018, al suo rientro in Islanda, registra Evolution: co-prodotte da Alex Somers, finalmente composizioni originali di Valtýsdóttir. A seguire, nel 2020, giunge Epicycle II, che si avvale delle collaborazioni di Kjartan Sveinsson, Ólöf Arnalds, Jónsi e Skúli Sverrisson. Tre dischi di grande fascino e personalità.

Arriviamo dunque a quest’ultimo progetto Ox, già disponibile on line e in uscita su vinile con solo 500 pezzi numerati, registrato alla fine del 2021 assieme ad Úlfur Hansson (deus ex machina digitale della nuova scena artistica islandese), coinvolgendo un vero e proprio parterre de rois di musicisti: Doug Wieselman al clarinetto, ancora l’ex Sigur Rós Kjartan Sveinsson a piano ed arrangiamenti, Aaron Roche al trombone, Alex Sopp ai flauti, Bert Cools a chitarra e sintetizzatori, Julian Sartorius alla batteria. Valtýsdóttir, ovviamente, violoncello e voce, ed autrice di tutti i brani.

Introduce l’album la delicata e potente “Alphabet”: violoncello, flauti, tappeti ipnotici di tastiere, pianoforte, chitarre acustiche e la voce di Gyða trasognata ed incisiva, mai veramente flebile, anche se a tratti sembra frantumarsi come un cristallo su una lastra di ghiaccio. Segue “Black Swan” e la scena si trasforma mentre la voce muta in una sorta di fantasmatica e sexy Jane Birkin della notte gelata. In “Corde” è di nuovo un angelo con una ieratica ninna-nanna che ci porta allo strumentale “Cute Kitten Lick Cream”, dedicata ai suoi neonati gatti di casa! Insomma, è chiaro che di questa musica ci si può solamente innamorare o invece fuggirne irritati. Tutto è estremamente personale, un dialogo intimo col proprio strumento, con i musicisti in studio (per non dire della copertina stessa dell’lp), ma soprattutto con l’ascoltatore.

Nove pezzi da “Alphabet” ad “Amaying” che volano in un attimo nella vostra stanza, nelle vostre cuffie, nella vostra immaginazione: è musica inafferrabile, traslucida, a tratti romantica, spesso inquieta, una sorta di confessionale poetico.

Per comprendere il potenziale di questa interprete si può vedere questa performance live nel novembre 2021 di “Alphabet” in quintetto all’Auditorium Harpa di Reykjavík: puro in-canto.

Trentasei minuti: troppo pochi per cui l’unica chance è il repeat-mode. Sì, certo, se ve ne siete innamorati.