GÜNTER SCHICKERT, Labyrinth

I patiti di rock tedesco, nello specifico di quello più impelagato con la psichedelia, sapranno del passato di Günter Schickert in una band come i GAM: per intenderci, siamo nell’area del cosiddetto “krautrock”, o cosmic rock, che suona pure meglio. Questo signore con un passato importante e di nicchia ha portato avanti tutta una serie di progetti (con Klaus Schulze, Jochen Arbeit…) e in un modo o nell’altro ha sempre inciso qualcosa, compresi i pezzi inseriti in Labyrinth. L’album in questione è infatti una specie di summa di quanto registrato negli ultimi anni (dal 1996 ad oggi), che ci dà un’idea piuttosto chiara del suo modo di comporre: c’è ad esempio il continuo lavorio sulle chitarre e sulle atmosfere – debitamente aliene e in odor di Richard Pinhas – in “Sieben”, mentre l’apertura di “Morning” risulta più melodica e contiene un giro di chitarra orientaleggiante (non è da meno il ruolo delle tablas) che cattura facilmente l’attenzione; il secondo lato si apre con la mesmerica “Tsunami” e sono ideali paesaggi desertici abitati da robot, mentre “Palaver” è un esperimento in cui più voci si sovrappongono e sembrano esprimersi alla maniera di Demetrio Stratos.

Schickert ha un’idea di musica in parte datata, ma figlia dell’esperienza, ma ciò non vuol dire che non sia capace di mettersi in gioco, tant’è vero che alcune parti del disco risultano particolarmente senza tempo. Labyrinth a conti fatti è una raccolta a tratti discontinua, ma che dimostra un’evidente nobiltà d’intenti. Collezionisti e intenditori non se lo lasceranno sfuggire.