GUNN-TRUSCINSKI DUO, Soundkeeper

Steve Gunn è un nome forse non noto ai più, ma da quindici anni pubblica dischi solisti, con band e in collaborazione con alcuni tra i più interessanti artisti di corrente mistica, se così si può dire, del panorama mondiale. È stato per breve tempo chitarrista dei Violators, la band di Kurt Vile, con cui condivide la provenienza e in un certo senso, il lato più minimale ed intimista, un linguaggio fatto di passaggi lievi e transizioni, ricordi fuori fuoco e bagliori improvvisi. Intelligentemente, smista in più contesti le sue intenzioni, realizzando dischi con canzoni vere e proprie (l’ultimo The Unseen In Between, edito da Matador nel 2019) ed altri più sperimentali, volti ad esplorare ambienti più astratti e materici.

Tra i vari collaboratori, negli anni ha stabilito un rapporto speciale con il batterista sperimentale John Truscinski, col quale ha realizzato vari progetti. Al quarto album come duo, i nostri trovano un equilibrio alchemico raro. I musicisti, che hanno avuto il primo incontro artistico nel 2010 suggellato dalla pubblicazione di Sand City, hanno elaborato e sviluppato le proprie affinità elettive a livelli molto fini: pochi mesi fa, la Three Lobed ha pubblicato in bellissimo doppio gatefold lp questo Soundkeeper che da allora non smette di girare sul mio piatto. Dopo l’iniziale “Into”, tramite la quale Gunn ci invita in solitaria al viaggio, tocca a “Gam” con le sue geometrie frammentate, dove i feedback di chitarra tremolo rimbalzano nella ritmica tessuta da tamburi e scandita da cimbali scoppiettanti. “Distance” sale da profondità oceaniche tra drone chitarristici e fraseggi compiuti, tra accenni ritmici e perdizioni nei riverberi, da cui affiorano le sottili e preziosissime dinamiche di batteria. È per distacco il miglior esempio di come i due artisti riescano a stabilire un silente e proficuo compromesso tra improvvisazione e struttura. Nella successiva “Valley Spiral”… ci si finisce per davvero nella spiral: il finger picking sciamanico dell’autore di Cantos De Lisboa (per la scintillante serie FRKWYS della RNVG, con Mike Cooper) svuota la mente, mentre la batteria a tempo di marcia di Truscinski macina un’andatura cadenzata e continua. “Pyramid Merchandise” racconta una storia senza parole, ed è una delle due composizioni dell’album, insieme alla macumba psichedelica della title-track, registrate dal vivo da Jonas Blank e Michael Slaboch all’Union Pool di Brooklyn tra 2019 e 2020: questa scelta si rivela molto interessante in termini di ascolto, perché ben mostra l’equilibrio quasi telepatico tra i due, tanto in studio quanto dal vivo. In “Northwest” si fa notare la chitarra acustica suonata con slidebar, creando un tappeto sonoro terroso “dimensionalmente parallelo” rispetto alla elettricità cosmica che si esalta nella crepuscolare “Ocean City”, durante la quale sembra quasi di essere cullati dal movimento della marea serale: le corde modulate dal vibrato/tremolo si intersecano nella visione ritmica elegante e in punta di piedi dei tamburi e dei piatti, che sembrano ricercare i timbri del compagno di avventure. “Closeness” è una piccola gemma ambient che introduce al lato D. “Curtain” rende organici i fumi ambient, facendo riemergere gli slide intrisi di riverberi e sottofrequenze che si aprono in un dedalo armonico. “Windows” ci restituisce la sensazione di confine precario tra improvvisazione e struttura, dove l’impronta libera lascia circolarità al flusso esecutivo. “For Eddie Hazel” è una ballata desertica tra psichedelia chitarristica e pulsazioni ostinate, dove i cimbali nuovamente divengono protagonisti scandendo il battito; su di essi fioriscono, dinamiche, controtempi, sfumature e piccole sbavature che rendono ancora più brillante e definita la qualità estetica dell’album nella sua interezza.